Prologo
Sono stata ispirata a scrivere questo libro dall’ incontro con Albert Dickinson che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva prestato servizio come soldato semplice nella 2 Somerset Light Infantry (parte della 10 Brigade, 4 Division, 13 Corps dell’8 Armata Britannica). Avevamo intrattenuto una corrispondenza mentre io stavo facendo ricerca per il mio libro ‘La Battaglia Dimenticata. Giugno-luglio 1944’, ed ebbi l’onore di incontrarlo nell’autunno del 2002, quando egli tornò in Italia con la sua famiglia.
Uno dei luoghi che essi visitarono fu Castelnuovo dei Sabbioni, dove i soldati del 2/4 Hampshire Regiment, parte della 28 Brigade, 4 Division, furono le prime truppe alleate ad arrivare sulla scena del primo massacro che si era verificato il 4 luglio del 1944. Albert ricordava che i suoi compagni avevano raccontato la storia di un uomo che era corso dalle truppe dicendo di essere miracolosamente sopravvissuto saltando un muro che dava su un precipizio e rimanendo appeso ad un albero. Mi chiese se me la sentivo di andare in quella cittadina per scoprire che cosa era accaduto veramente.
La visita in pratica fu quasi del tutto inutile. C’era un Monumento ai Caduti vicino alla chiesa e un altro nel cimitero, ma a parte una suora che mi fornì un minimo di informazione sul secondo massacro dell’11 luglio, era chiaro che la popolazione locale non sarebbe stata fonte attendibile di documentazione.
Uno dei luoghi che essi visitarono fu Castelnuovo dei Sabbioni, dove i soldati del 2/4 Hampshire Regiment, parte della 28 Brigade, 4 Division, furono le prime truppe alleate ad arrivare sulla scena del primo massacro che si era verificato il 4 luglio del 1944. Albert ricordava che i suoi compagni avevano raccontato la storia di un uomo che era corso dalle truppe dicendo di essere miracolosamente sopravvissuto saltando un muro che dava su un precipizio e rimanendo appeso ad un albero. Mi chiese se me la sentivo di andare in quella cittadina per scoprire che cosa era accaduto veramente.
La visita in pratica fu quasi del tutto inutile. C’era un Monumento ai Caduti vicino alla chiesa e un altro nel cimitero, ma a parte una suora che mi fornì un minimo di informazione sul secondo massacro dell’11 luglio, era chiaro che la popolazione locale non sarebbe stata fonte attendibile di documentazione.
A quel punto decisi di andare alla Biblioteca Comunale di Arezzo per vedere che cosa si poteva ricavare da fonti secondarie. Poi mi recai all’Archivio di Stato di Londra, e in tre biblioteche di Firenze, La Biblioteca Nazionale Centrale, La Marucelliana e l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Ho ricevuto un aiuto significativo dallo storico Claudio Biscarini del Centro di Documentazione Internazionale ‘Storia Militare’ di San Miniato Basso (Pisa) sui movimenti delle truppe tedesche nella zona all’epoca.
Le fonti spaziano da memorie dei partigiani stessi a fonti ufficiali dell’esercito britannico, diari di guerra britannici e tedeschi, monografie sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Resistenza in Italia, e fonti di archivio dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Dal punto di vista metodologico, ho ritenuto opportuno confrontare i dati riportati in Tognarini ‘Guerra di sterminio e resistenza. La Provincia di Arezzo’ con le liste dei civili massacrati per cercare di stabilire se ci fosse un collegamento diretto tra azioni partigiane e rappresaglie tedesche. I Diari di Guerra Britannici e Tedeschi sono stati analizzati per trovare riscontri negli eventuali commenti agli eventi presi in considerazione.
HANNO DETTO QUESTO....
8 giugno 1944 General Harold Alexander
Patrioti…fate tutto quello che è possibile per distruggere, ritardare, ingannare il nemico, con tutti i mezzi a vostra disposizione e con quelli suggeriti da noi. Avete già fatto un buon lavoro; raddoppiate gli sforzi…osservate attentamente quali misure difensive vengano prese dai tedeschi, dove stiano costruendo piattaforme per le mitragliatrici, dove stiano preparando campi minati, quali ponti stiano programmando di demolire…dove hanno piazzato le munizioni e le riserve di combustibile. Istruzioni valide per tutti - uccidere i tedeschi e distruggere i loro materiali
17 giugno e 1 luglio 1944 Feldmarschall Albert Kesselring
La battaglia contro i partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò qualunque ufficiale che ecceda i nostri normali limiti nella scelta e nella severità dei metodi che egli adotterà contro i partigiani...Qualsiasi atto di violenza commesso dai partigiani deve essere immediatamente punito. Dovunque sia accertata la presenza di un numero considerevole di gruppi di partigiani, una percentuale della popolazione maschile sarà fucilata…la popolazione deve essere informata di ciò. Nel caso che venga aperto il fuoco sulle truppe da un qualsiasi paese, il paese stesso sarà messo a ferro e fuoco. Gli attentatori o i capi gruppo dovranno essere impiccati sul posto
21 luglio 1944 2/4 Hampshire Regiment
In questa area, particolarmente a Castelnuovo, abbiamo riscontrato le prove delle atrocità tedesche. I segni si possono identificare sui muri anneriti dal fumo, e le ossa sono rimaste ancora là dove la Boche aveva fucilato circa un centinaio di civili e poi li aveva bruciati
Rapporto della British War Crimes Section, Allied Force Headquarters on German Reprisals for Partisan Activities in Italy 1944
La sezione britannica per i crimini di guerra dei Quartieri Generali delle Forze Alleate ha svolto indagini approfondite su vari casi di rappresaglie tedesche per attività partigiana in Italia, verificatesi tra aprile e novembre 1944. Uno studio di tutti questi casi rivela che c’è una sorprendente similarità tra questi fatti. L’incidente invariabilmente si apre con l’uccisione o il ferimento di uno o più soldati tedeschi da parte dei partigiani; l’attività di rappresaglia è poi intrapresa o dalle truppe immediatamente dopo sul posto oppure, nei casi più seri, con l’arrivo di unità e formazioni specifiche appositamente organizzate allo scopo
Milano 1986 Il partigiano Libero Santoni
Sapevamo che se fossimo stati catturati saremmo stati torturati e passati per le armi, che magari la stessa sorte poteva essere riservata a chi ci aveva aiutato o ci era vicino; ma che si arrivasse ad infierire su persone di tutto innocenti in modo indiscriminato, la ragione non riusciva a concepire
23 ottobre 2008 Luciano Luciani - affine di una delle vittime di San Severo Pomaio (dopo l’uscita della notizia che La Cassazione aveva condannato la Germania a pagare un milione di euro ai nove familiari delle vittime di una strage nazista compiuta nel 1944 in Provincia di Arezzo)
...chissà se l' ANPI è disposta a far pagare almeno la metà ai gloriosi della banda Sante Tani ?
IL SENTIERO DELLA LIBERTÀ
Attraversando il minuscolo paese di Vallucciole, che sta abbarbicato su un declivio assolato esposto a sud, tra i boschi di castagni dell’Alto Casentino vicino al confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna, c’è un percorso che è stato chiamato il ‘Sentiero della Libertà’. Un cartello segnaletico, collocato nel triangolo di verde che si trova tra la chiesa e le attigue casette di pietra, racconta al passante che il primo gruppo di partigiani stabilitosi nel Casentino si era sistemato a Vallucciole nell’ottobre del 1943, e che gli ideali per i quali questi uomini combatterono erano quelli che sarebbero stati in seguito incarnati nella Repubblica Italiana del dopoguerra. Nella valle giù in fondo al di sotto del paese, dove le acque sorgive dell’Arno saltellano rapide lungo il loro letto di pietre costeggiato da un gruppo di case conosciute come Molin di Bucchio, un altro cartello di informazioni in un giardino commemorativo ricorda che qui il partigiano Pio Borri incontrò la morte in una delle prime schermaglie tra i fascisti repubblichini ed i partigiani appena costituitisi in gruppo nel novembre dello stesso anno.
Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la caduta di Mussolini nel luglio del 1943 tutta l’Italia era nel caos. Il Maresciallo Badoglio era stato nominato nuovo capo del governo dal re, Vittorio Emanuele III, e benché insistesse in pubblico che la guerra continuava, in realtà stava attivamente negoziando in segreto i termini dell’Armistizio con gli Alleati. Mussolini fu liberato dai tedeschi dalla prigione del Gran Sasso e fu portato al nord sul Lago di Garda dove stabilì la Repubblica Sociale Italiana fascista a Salò. Subito dopo aver firmato l’Armistizio l’8 settembre, il re e Badoglio lasciarono Roma e si rifugiarono al di là delle linee alleate a Brindisi in Puglia, dove insediarono il loro governo. Le truppe tedesche di stanza in Italia al momento dell’Armistizio si ritrovarono da un momento all’altro in territorio nemico anziché alleato, e Hitler non tardò a mandare rinforzi attraverso il Brennero. I reggimenti dell’esercito italiano che si trovavano ancora sul suolo patrio, e furono tanto sfortunati da trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, furono deportati dai loro precedenti alleati in Germania e messi ai lavori forzati nelle fabbriche di munizioni. Altre unità furono sciolte dai loro ufficiali in assenza di qualsivoglia chiara indicazione da parte del primo ministro. Ai soldati di queste unità si presentava la scelta o di tornare a casa col rischio di essere reclutati dai tedeschi per lavorare alla Todt, una organizzazione militare che aveva il compito di costruire e mantenere in buone condizioni le strade e gli aeroporti, più altri obiettivi di minore entità, oppure arruolarsi nell’esercito fascista dei repubblichini di Mussolini. A molti di questi uomini fuggire nelle colline e costituire gruppi di partigiani sembrò l’unica scelta possibile. Non a caso, il fatto che molti gruppi di partigiani dimostrassero marcate caratteristiche militari si può attribuire alla presenza tra di loro di questi ufficiali, sottufficiali e soldati dell’esercito italiano smembrato.
Nella maggior parte dei villaggi e delle città il sindaco fascista, il podestà, sostenuto dalla Milizia Repubblicana Fascista, che nel dicembre del 1943 divenne La Guardia Nazionale Repubblicana a sua volta appoggiata dai tedeschi, rimase al potere nel clima incerto che seguì l’armistizio, spesso a costo di divenire l’obiettivo degli attacchi dei partigiani, i quali aumentavano e si rafforzavano a misura che gli Alleati cominciarono a farsi strada su per la penisola. Gli oppositori politici del fascismo che erano stati costretti ad operare segretamente per venti anni, oppure erano stati deportati in qualche isola al largo della costa, cominciarono a incontrarsi di nascosto ed a fare progetti per un futuro repubblicano non fascista, mettendosi in contatto con le forze degli invasori e diffondendo il loro messaggio politico tra i giovani che si nascondevano nelle colline. I ragazzi vicini all’età in cui avrebbero potuto trovarsi nella condizione di venire richiamati nell’esercito Repubblicano dovevano affrontare lo stesso dilemma dei soldati allo sbando. Alcuni andarono volentieri a combattere per Mussolini, ma altri si dettero alla macchia, mettendo a grave rischio le loro famiglie, soggette a intimidazioni al fine di far loro rivelare il nascondiglio dei propri figli. Altri si unirono alla Resistenza.
Il Major E.H.W. Wilcockson, un ufficiale di collegamento britannico della Divisione ‘Modena’ dei partigiani in Emilia Romagna era dell’opinione che il 65 o il 70% dei partigiani nella Divisione stavano cercando di evitare il servizio militare nell’esercito Repubblicano e non erano molto interessati a combattere per la liberazione dell’Italia (Lamb p. 225) ma che questo fosse vero o no anche di altri gruppi di partigiani in altre parti d’Italia è difficile da stabilire.
Nonostante che in alcune città apparissero alcune manifestazioni iniziali di entusiasmo per gli Alleati liberatori, ad esempio il 3 luglio 1944 il Comitato di liberazione nazionale di Cortona emise un proclama che diceva Cortonesi! Salutiamo con gioia riconoscente i valorosi eserciti Alleati che hanno fatto finalmente libera la nostra città, (Pancrazi p. 51), in generale i partigiani hanno sempre sostenuto che furono loro e non le forze alleate ad aver liberato l’Italia dal fascismo. Dovevano essere riconosciuti come i liberatori, in modo tale da guadagnarsi quella rispettabilità politica di cui avrebbero avuto bisogno nell’Italia del dopo-guerra.
Ancora oggi non sono inclini a riconoscere il credito dovuto alle truppe alleate, le quali dopo aver combattuto le quattro battaglie di Cassino terminate nel maggio del 1944, liberarono Roma e respinsero l’esercito tedesco alla Linea Gotica, che attraversa l’Appennino da un punto al sud de La Spezia a Pesaro, e che fu la loro ultima linea di difesa. Questa riluttanza può essere spiegata in parte col fatto che molti gruppi partigiani consideravano le truppe alleate come forze imperialiste e non liberatrici, e in parte con la mancanza di fiducia che nutrivano nei confronti dei partigiani in particolare i britannici; questi, infatti, a dispetto della disponibilità a fornire alimenti e indumenti con il paracadutaggio delle provvigioni dagli aerei, erano tuttavia riluttanti al massimo a fornire loro le armi.
L’atteggiamento cauto degli Alleati fu sperimentato presto dai gruppi partigiani che operavano nella Provincia di Arezzo, dove si trova appunto Vallucciole. La provincia, situata nell’angolo nord-orientale della Toscana con le montagne che la circondano quasi completamente, era il territorio ideale per insediare la resistenza armata ai tedeschi. Lungo il confine occidentale con la Provincia di Siena si trovano i Monti del Chianti, mentre l’Appennino, da cui nascono le acque sia del Tevere che dell’Arno, formano il suo confine settentrionale. Separa i due fiumi la catena montuosa conosciuta come l’Alpe di Catenaia, e all’interno della vasta ansa che l’Arno fa girando praticamente indietro su se stesso nel suo percorso in direzione nord verso Firenze, si trova l’imponente massiccio del Pratomagno. Solo sul suo confine meridionale con l’Umbria c’è una apprezzabile distesa di pianura, conosciuta come la Valdichiana, che si estende verso nord dal Lago Trasimeno fin dove l’Arno ripiega verso la sua vallata inferiore a Laterina.
Il 2 settembre 1943 si tenne un incontro di antifascisti nel capoluogo di provincia, in cui fu stabilito il Comitato Provinciale di Concertazione Antifascista (CPCA). Era costituito da dieci membri, due nominati da ciascuno dei cinque partiti democratici - i Liberali, il Partito d’Azione, i Socialisti, i Democratici Cristiani ed i Comunisti - che già esistevano nella città. Subito dopo l’Armistizio, quando i prigionieri di guerra alleati e slavi furono rilasciati da due campi della provincia nella zona di Laterina e dei Renicci (vicino Anghiari), questo gruppo organizzò l’assistenza clandestina agli uomini, accogliendoli e fornendo loro indumenti civili prima di mandarli nelle fattorie presso famiglie di contadini. Si pensava che potessero essere inseriti in futuri gruppi partigiani e si sperava di poter utilizzare i prigionieri alleati liberati come uomini di collegamento tra la Resistenza e il Comando Alleato. Cesare Capponi, l’uomo responsabile dell’organizzazione del gruppo di partigiani a Vallucciole, riuscì a mandare tre uomini al Quartier Generale Alleato a Bari con messaggi segreti nascosti nei tacchi delle scarpe. I messaggi illustravano il programma del CPCA ed agli Alleati si chiedeva che paracadutassero armi, munizioni e equipaggiamento. Sembra che solo due dei messaggi inviati giunsero a destinazione, ma con grande delusione dei partigiani di Vallucciole non ci furono lanci di sorta.
Alla fine del 1943 in Italia si erano sviluppati complessivamente due vasti tipi di gruppi partigiani, cioè da un lato le Fiamme Verdi non comuniste, che erano costituite da socialisti, repubblicani, liberali e gente che voleva solo liberare l’Italia dai fascisti e dai tedeschi (Lamb p. 8) e dall’altro le Brigate Garibaldi, esplicitamente comuniste dal punto di vista politico. Entrambe le formazioni erano attive nella Provincia di Arezzo. La più importante delle Brigate Garibaldi della provincia, la 23ª, prese il nome dal partigiano massacrato Pio Borri; inoltre c’era la 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’, costituita da gruppi esterni che operavano in modo relativamente indipendente. Queste due brigate insieme formavano la Divisione Arezzo, al comando di un uomo chiamato Siro Rossetti. Intrattenevano anche contatti operativi con gruppi fiorentini che appartenevano alla Divisione Arno, come la 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’ e la 22/aª Brigata ‘Vittorio Sinigallia’. La più importante delle brigate non comuniste attiva nella provincia era la ‘Mameli’, comandata da Rodolfo Chiosi, e l’8° distaccamento di una brigata conosciuta come il Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’, guidata da Raul Ballocci. Uno scopo dichiarato del 'Monte Amiata' era di intervenire direttamente nella lotta contro i tedeschi a fianco degli Alleati in un primo tempo con atti di sabotaggio e attacchi a mezzo (sic) isolati per intralciare il regolare funzionamento logistico delle retrovie; in un secondo tempo con azione più robusta ed armonica per ritardare le operazioni di sganciamento tedesche. (Biscarini p. 91)
Tutte le brigate erano costituite da distaccamenti dai circa quaranta ai sessanta uomini e ogni distaccamento era diviso in squadroni composte dai dieci ai venti uomini. Lo squadrone era ulteriormente suddiviso in nuclei di cinque o sei uomini. I distaccamenti operavano su di un territorio piuttosto vasto per poter essere in grado di nascondersi da pattuglie nemiche di perlustrazione. Nei primi mesi, fino al marzo del 1944, i partigiani che operavano nel Casentino e nella Valdichiana continuarono a vivere nelle loro famiglie, e si incontravano solo per realizzare azioni di natura non troppo difficoltosa, quali cercare di procurasi armi, materiali ed alimenti. Sembra che, benché le Brigate Garibaldi fossero state costituite sotto l’egida del Partito Comunista, in realtà esse accettassero aderenti di varie inclinazioni politiche e che nessuno sia mai stato discriminato per motivi politici.
Nel gennaio del 1944, mentre queste brigate erano ancora in via di organizzazione ed erano impegnate in missioni per il reperimento di quanto potesse essere loro necessario per le azioni, fu istituito a Milano un Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che riuniva sia le Fiamme Verdi che i Comunisti. Il Primo Ordine del Giorno conteneva la seguente dichiarazione:
Non vi sarà posto domani da noi per un regime di reazione edulcorata, e neppure per una democrazia zoppa. Il nuovo sistema politico sociale ed economico non potrà essere se non di democrazia schietta ed effettiva. Nel governo di domani, anche questo è ben certo, operai, contadini, ed artigiani, tutte le classi popolari, avranno un peso determinante ed un posto adeguato a questo peso. (Longo pp. 27-8)
La democrazia secondo questa definizione aveva poco a che vedere con la democrazia nel senso in cui veniva intesa dagli Alleati, dai britannici in particolare, i quali erano contrari non soltanto alla componente comunista interna al CLN ma anche a quella repubblicana. Ciò significò che da quel momento in poi i britannici furono estremamente cauti nell’affidare troppo potere nelle mani dei partigiani, e questo Primo Ordine del Giorno confermava la loro riluttanza pregressa a rifornirli di armi. Il Foreign Office si allarmò per paura che questo Comitato di Liberazione potesse diventare una alternativa al governo di Badoglio, e questo atteggiamento persistette durante tutta la campagna militare. Secondo un rapporto dei Quartieri Generali della Commissione di Controllo degli Alleati, emesso a Perugia il 27 giugno 1944, subito dopo che la città era caduta nelle mani degli Alleati e due giorni prima della ritirata tedesca dalla Linea Albert all’interno della Provincia di Arezzo, i partigiani costituivano un problema per il Governo Militare degli Alleati.
L’Enciclopedia dell’Anti-fascismo e della Resistenza nota che la paura di un movimento di massa armato dominato dalle forze comuniste era una fissazione nella mente degli Alleati, e che tale rimase dal primo all’ultimo giorno della Guerra di Liberazione in Italia. Indubbiamente questa paura era un argomento ricorrente, infatti l’Enciclopedia parla esplicitamente dei timori degli Alleati che tra le forze della Resistenza prevalesse la componente comunista.
Gli Alleati, tuttavia, desideravano potersi avvalere dei partigiani sia pur in misura limitata, perché volevano che si concentrassero sui sabotaggi, sull’aiuto alla fuga dei prigionieri di guerra, e sugli attacchi ai tedeschi durante la loro ritirata, con l’obiettivo di impegnare una quantità considerevole di truppe nemiche in attività di contro-guerriglia. Ma, come già detto, gli scopi dei partigiani erano molto più politici, e un rapporto che si riferisce alla Divisione ‘Modena’ in Emilia Romagna nota che erano niente altro che comunisti, interessati solo alla politica e del tutto inadatti al combattimento. (Lamb p. 223)
Quando rispondeva ai suoi scopi, il General Harold Alexander, comandante britannico delle Truppe Alleate in Europa, non esitava ad incitarli all’attacco contro i tedeschi. Nelle trasmissioni di Radio Bari dell’8 e del 9 giugno 1944 invitava tutti i gruppi partigiani della Provincia di Arezzo ad entrare in azione insieme. Questo era il segnale che essi stavano aspettando perché avvalorava una decisione già presa dal CLN e dal comando partigiano il 26 maggio; gli attacchi sferrati da loro nel giugno e luglio del 1944 raddoppiarono in confronto alle loro attività dei mesi precedenti. Sfortunatamente però per la provincia, la risposta tedesca a questo incremento delle azioni di guerriglia fu l’uccisione di un migliaio di civili innocenti come atti di rappresaglia. Richard Lamb, scrivendo dell’Italia in generale, commenta
Capi partigiani irresponsabili insistevano negli attacchi ai tedeschi invece di limitarsi agli atti di sabotaggio e questo portò a rappresaglie selvagge contro comuni cittadini, che resero i partigiani molto invisi alla popolazione civile. (Lamb p. 8)
I gruppi partigiani erano perfettamente consapevoli del fatto che ogni loro azione in cui restasse ucciso un tedesco avrebbe comportato la esecuzione sommaria di dieci italiani. L’editto ‘dieci per uno’ fu pubblicato dal comandante tedesco Feldmarschall Albert Kesselring dopo un attacco a truppe nazi-fasciste a Roma in Via Rasella il 23 marzo 1944. In quella occasione trecentotrentacinque innocenti furono portati alle Fosse Ardeatine alla periferia della città per l’esecuzione. Il General Alexander, nei suoi proclami radiofonici che incitavano i partigiani a sparare ai tedeschi alle spalle, era anche ben consapevole del prezzo che i civili italiani avrebbero dovuto pagare per questo. Soltanto a Vallucciole cento otto innocenti tra uomini donne e bambini furono massacrati il 13 aprile 1944.
Le fonti spaziano da memorie dei partigiani stessi a fonti ufficiali dell’esercito britannico, diari di guerra britannici e tedeschi, monografie sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Resistenza in Italia, e fonti di archivio dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Dal punto di vista metodologico, ho ritenuto opportuno confrontare i dati riportati in Tognarini ‘Guerra di sterminio e resistenza. La Provincia di Arezzo’ con le liste dei civili massacrati per cercare di stabilire se ci fosse un collegamento diretto tra azioni partigiane e rappresaglie tedesche. I Diari di Guerra Britannici e Tedeschi sono stati analizzati per trovare riscontri negli eventuali commenti agli eventi presi in considerazione.
HANNO DETTO QUESTO....
8 giugno 1944 General Harold Alexander
Patrioti…fate tutto quello che è possibile per distruggere, ritardare, ingannare il nemico, con tutti i mezzi a vostra disposizione e con quelli suggeriti da noi. Avete già fatto un buon lavoro; raddoppiate gli sforzi…osservate attentamente quali misure difensive vengano prese dai tedeschi, dove stiano costruendo piattaforme per le mitragliatrici, dove stiano preparando campi minati, quali ponti stiano programmando di demolire…dove hanno piazzato le munizioni e le riserve di combustibile. Istruzioni valide per tutti - uccidere i tedeschi e distruggere i loro materiali
17 giugno e 1 luglio 1944 Feldmarschall Albert Kesselring
La battaglia contro i partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò qualunque ufficiale che ecceda i nostri normali limiti nella scelta e nella severità dei metodi che egli adotterà contro i partigiani...Qualsiasi atto di violenza commesso dai partigiani deve essere immediatamente punito. Dovunque sia accertata la presenza di un numero considerevole di gruppi di partigiani, una percentuale della popolazione maschile sarà fucilata…la popolazione deve essere informata di ciò. Nel caso che venga aperto il fuoco sulle truppe da un qualsiasi paese, il paese stesso sarà messo a ferro e fuoco. Gli attentatori o i capi gruppo dovranno essere impiccati sul posto
21 luglio 1944 2/4 Hampshire Regiment
In questa area, particolarmente a Castelnuovo, abbiamo riscontrato le prove delle atrocità tedesche. I segni si possono identificare sui muri anneriti dal fumo, e le ossa sono rimaste ancora là dove la Boche aveva fucilato circa un centinaio di civili e poi li aveva bruciati
Rapporto della British War Crimes Section, Allied Force Headquarters on German Reprisals for Partisan Activities in Italy 1944
La sezione britannica per i crimini di guerra dei Quartieri Generali delle Forze Alleate ha svolto indagini approfondite su vari casi di rappresaglie tedesche per attività partigiana in Italia, verificatesi tra aprile e novembre 1944. Uno studio di tutti questi casi rivela che c’è una sorprendente similarità tra questi fatti. L’incidente invariabilmente si apre con l’uccisione o il ferimento di uno o più soldati tedeschi da parte dei partigiani; l’attività di rappresaglia è poi intrapresa o dalle truppe immediatamente dopo sul posto oppure, nei casi più seri, con l’arrivo di unità e formazioni specifiche appositamente organizzate allo scopo
Milano 1986 Il partigiano Libero Santoni
Sapevamo che se fossimo stati catturati saremmo stati torturati e passati per le armi, che magari la stessa sorte poteva essere riservata a chi ci aveva aiutato o ci era vicino; ma che si arrivasse ad infierire su persone di tutto innocenti in modo indiscriminato, la ragione non riusciva a concepire
23 ottobre 2008 Luciano Luciani - affine di una delle vittime di San Severo Pomaio (dopo l’uscita della notizia che La Cassazione aveva condannato la Germania a pagare un milione di euro ai nove familiari delle vittime di una strage nazista compiuta nel 1944 in Provincia di Arezzo)
...chissà se l' ANPI è disposta a far pagare almeno la metà ai gloriosi della banda Sante Tani ?
IL SENTIERO DELLA LIBERTÀ
Attraversando il minuscolo paese di Vallucciole, che sta abbarbicato su un declivio assolato esposto a sud, tra i boschi di castagni dell’Alto Casentino vicino al confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna, c’è un percorso che è stato chiamato il ‘Sentiero della Libertà’. Un cartello segnaletico, collocato nel triangolo di verde che si trova tra la chiesa e le attigue casette di pietra, racconta al passante che il primo gruppo di partigiani stabilitosi nel Casentino si era sistemato a Vallucciole nell’ottobre del 1943, e che gli ideali per i quali questi uomini combatterono erano quelli che sarebbero stati in seguito incarnati nella Repubblica Italiana del dopoguerra. Nella valle giù in fondo al di sotto del paese, dove le acque sorgive dell’Arno saltellano rapide lungo il loro letto di pietre costeggiato da un gruppo di case conosciute come Molin di Bucchio, un altro cartello di informazioni in un giardino commemorativo ricorda che qui il partigiano Pio Borri incontrò la morte in una delle prime schermaglie tra i fascisti repubblichini ed i partigiani appena costituitisi in gruppo nel novembre dello stesso anno.
Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la caduta di Mussolini nel luglio del 1943 tutta l’Italia era nel caos. Il Maresciallo Badoglio era stato nominato nuovo capo del governo dal re, Vittorio Emanuele III, e benché insistesse in pubblico che la guerra continuava, in realtà stava attivamente negoziando in segreto i termini dell’Armistizio con gli Alleati. Mussolini fu liberato dai tedeschi dalla prigione del Gran Sasso e fu portato al nord sul Lago di Garda dove stabilì la Repubblica Sociale Italiana fascista a Salò. Subito dopo aver firmato l’Armistizio l’8 settembre, il re e Badoglio lasciarono Roma e si rifugiarono al di là delle linee alleate a Brindisi in Puglia, dove insediarono il loro governo. Le truppe tedesche di stanza in Italia al momento dell’Armistizio si ritrovarono da un momento all’altro in territorio nemico anziché alleato, e Hitler non tardò a mandare rinforzi attraverso il Brennero. I reggimenti dell’esercito italiano che si trovavano ancora sul suolo patrio, e furono tanto sfortunati da trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, furono deportati dai loro precedenti alleati in Germania e messi ai lavori forzati nelle fabbriche di munizioni. Altre unità furono sciolte dai loro ufficiali in assenza di qualsivoglia chiara indicazione da parte del primo ministro. Ai soldati di queste unità si presentava la scelta o di tornare a casa col rischio di essere reclutati dai tedeschi per lavorare alla Todt, una organizzazione militare che aveva il compito di costruire e mantenere in buone condizioni le strade e gli aeroporti, più altri obiettivi di minore entità, oppure arruolarsi nell’esercito fascista dei repubblichini di Mussolini. A molti di questi uomini fuggire nelle colline e costituire gruppi di partigiani sembrò l’unica scelta possibile. Non a caso, il fatto che molti gruppi di partigiani dimostrassero marcate caratteristiche militari si può attribuire alla presenza tra di loro di questi ufficiali, sottufficiali e soldati dell’esercito italiano smembrato.
Nella maggior parte dei villaggi e delle città il sindaco fascista, il podestà, sostenuto dalla Milizia Repubblicana Fascista, che nel dicembre del 1943 divenne La Guardia Nazionale Repubblicana a sua volta appoggiata dai tedeschi, rimase al potere nel clima incerto che seguì l’armistizio, spesso a costo di divenire l’obiettivo degli attacchi dei partigiani, i quali aumentavano e si rafforzavano a misura che gli Alleati cominciarono a farsi strada su per la penisola. Gli oppositori politici del fascismo che erano stati costretti ad operare segretamente per venti anni, oppure erano stati deportati in qualche isola al largo della costa, cominciarono a incontrarsi di nascosto ed a fare progetti per un futuro repubblicano non fascista, mettendosi in contatto con le forze degli invasori e diffondendo il loro messaggio politico tra i giovani che si nascondevano nelle colline. I ragazzi vicini all’età in cui avrebbero potuto trovarsi nella condizione di venire richiamati nell’esercito Repubblicano dovevano affrontare lo stesso dilemma dei soldati allo sbando. Alcuni andarono volentieri a combattere per Mussolini, ma altri si dettero alla macchia, mettendo a grave rischio le loro famiglie, soggette a intimidazioni al fine di far loro rivelare il nascondiglio dei propri figli. Altri si unirono alla Resistenza.
Il Major E.H.W. Wilcockson, un ufficiale di collegamento britannico della Divisione ‘Modena’ dei partigiani in Emilia Romagna era dell’opinione che il 65 o il 70% dei partigiani nella Divisione stavano cercando di evitare il servizio militare nell’esercito Repubblicano e non erano molto interessati a combattere per la liberazione dell’Italia (Lamb p. 225) ma che questo fosse vero o no anche di altri gruppi di partigiani in altre parti d’Italia è difficile da stabilire.
Nonostante che in alcune città apparissero alcune manifestazioni iniziali di entusiasmo per gli Alleati liberatori, ad esempio il 3 luglio 1944 il Comitato di liberazione nazionale di Cortona emise un proclama che diceva Cortonesi! Salutiamo con gioia riconoscente i valorosi eserciti Alleati che hanno fatto finalmente libera la nostra città, (Pancrazi p. 51), in generale i partigiani hanno sempre sostenuto che furono loro e non le forze alleate ad aver liberato l’Italia dal fascismo. Dovevano essere riconosciuti come i liberatori, in modo tale da guadagnarsi quella rispettabilità politica di cui avrebbero avuto bisogno nell’Italia del dopo-guerra.
Ancora oggi non sono inclini a riconoscere il credito dovuto alle truppe alleate, le quali dopo aver combattuto le quattro battaglie di Cassino terminate nel maggio del 1944, liberarono Roma e respinsero l’esercito tedesco alla Linea Gotica, che attraversa l’Appennino da un punto al sud de La Spezia a Pesaro, e che fu la loro ultima linea di difesa. Questa riluttanza può essere spiegata in parte col fatto che molti gruppi partigiani consideravano le truppe alleate come forze imperialiste e non liberatrici, e in parte con la mancanza di fiducia che nutrivano nei confronti dei partigiani in particolare i britannici; questi, infatti, a dispetto della disponibilità a fornire alimenti e indumenti con il paracadutaggio delle provvigioni dagli aerei, erano tuttavia riluttanti al massimo a fornire loro le armi.
L’atteggiamento cauto degli Alleati fu sperimentato presto dai gruppi partigiani che operavano nella Provincia di Arezzo, dove si trova appunto Vallucciole. La provincia, situata nell’angolo nord-orientale della Toscana con le montagne che la circondano quasi completamente, era il territorio ideale per insediare la resistenza armata ai tedeschi. Lungo il confine occidentale con la Provincia di Siena si trovano i Monti del Chianti, mentre l’Appennino, da cui nascono le acque sia del Tevere che dell’Arno, formano il suo confine settentrionale. Separa i due fiumi la catena montuosa conosciuta come l’Alpe di Catenaia, e all’interno della vasta ansa che l’Arno fa girando praticamente indietro su se stesso nel suo percorso in direzione nord verso Firenze, si trova l’imponente massiccio del Pratomagno. Solo sul suo confine meridionale con l’Umbria c’è una apprezzabile distesa di pianura, conosciuta come la Valdichiana, che si estende verso nord dal Lago Trasimeno fin dove l’Arno ripiega verso la sua vallata inferiore a Laterina.
Il 2 settembre 1943 si tenne un incontro di antifascisti nel capoluogo di provincia, in cui fu stabilito il Comitato Provinciale di Concertazione Antifascista (CPCA). Era costituito da dieci membri, due nominati da ciascuno dei cinque partiti democratici - i Liberali, il Partito d’Azione, i Socialisti, i Democratici Cristiani ed i Comunisti - che già esistevano nella città. Subito dopo l’Armistizio, quando i prigionieri di guerra alleati e slavi furono rilasciati da due campi della provincia nella zona di Laterina e dei Renicci (vicino Anghiari), questo gruppo organizzò l’assistenza clandestina agli uomini, accogliendoli e fornendo loro indumenti civili prima di mandarli nelle fattorie presso famiglie di contadini. Si pensava che potessero essere inseriti in futuri gruppi partigiani e si sperava di poter utilizzare i prigionieri alleati liberati come uomini di collegamento tra la Resistenza e il Comando Alleato. Cesare Capponi, l’uomo responsabile dell’organizzazione del gruppo di partigiani a Vallucciole, riuscì a mandare tre uomini al Quartier Generale Alleato a Bari con messaggi segreti nascosti nei tacchi delle scarpe. I messaggi illustravano il programma del CPCA ed agli Alleati si chiedeva che paracadutassero armi, munizioni e equipaggiamento. Sembra che solo due dei messaggi inviati giunsero a destinazione, ma con grande delusione dei partigiani di Vallucciole non ci furono lanci di sorta.
Alla fine del 1943 in Italia si erano sviluppati complessivamente due vasti tipi di gruppi partigiani, cioè da un lato le Fiamme Verdi non comuniste, che erano costituite da socialisti, repubblicani, liberali e gente che voleva solo liberare l’Italia dai fascisti e dai tedeschi (Lamb p. 8) e dall’altro le Brigate Garibaldi, esplicitamente comuniste dal punto di vista politico. Entrambe le formazioni erano attive nella Provincia di Arezzo. La più importante delle Brigate Garibaldi della provincia, la 23ª, prese il nome dal partigiano massacrato Pio Borri; inoltre c’era la 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’, costituita da gruppi esterni che operavano in modo relativamente indipendente. Queste due brigate insieme formavano la Divisione Arezzo, al comando di un uomo chiamato Siro Rossetti. Intrattenevano anche contatti operativi con gruppi fiorentini che appartenevano alla Divisione Arno, come la 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’ e la 22/aª Brigata ‘Vittorio Sinigallia’. La più importante delle brigate non comuniste attiva nella provincia era la ‘Mameli’, comandata da Rodolfo Chiosi, e l’8° distaccamento di una brigata conosciuta come il Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’, guidata da Raul Ballocci. Uno scopo dichiarato del 'Monte Amiata' era di intervenire direttamente nella lotta contro i tedeschi a fianco degli Alleati in un primo tempo con atti di sabotaggio e attacchi a mezzo (sic) isolati per intralciare il regolare funzionamento logistico delle retrovie; in un secondo tempo con azione più robusta ed armonica per ritardare le operazioni di sganciamento tedesche. (Biscarini p. 91)
Tutte le brigate erano costituite da distaccamenti dai circa quaranta ai sessanta uomini e ogni distaccamento era diviso in squadroni composte dai dieci ai venti uomini. Lo squadrone era ulteriormente suddiviso in nuclei di cinque o sei uomini. I distaccamenti operavano su di un territorio piuttosto vasto per poter essere in grado di nascondersi da pattuglie nemiche di perlustrazione. Nei primi mesi, fino al marzo del 1944, i partigiani che operavano nel Casentino e nella Valdichiana continuarono a vivere nelle loro famiglie, e si incontravano solo per realizzare azioni di natura non troppo difficoltosa, quali cercare di procurasi armi, materiali ed alimenti. Sembra che, benché le Brigate Garibaldi fossero state costituite sotto l’egida del Partito Comunista, in realtà esse accettassero aderenti di varie inclinazioni politiche e che nessuno sia mai stato discriminato per motivi politici.
Nel gennaio del 1944, mentre queste brigate erano ancora in via di organizzazione ed erano impegnate in missioni per il reperimento di quanto potesse essere loro necessario per le azioni, fu istituito a Milano un Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che riuniva sia le Fiamme Verdi che i Comunisti. Il Primo Ordine del Giorno conteneva la seguente dichiarazione:
Non vi sarà posto domani da noi per un regime di reazione edulcorata, e neppure per una democrazia zoppa. Il nuovo sistema politico sociale ed economico non potrà essere se non di democrazia schietta ed effettiva. Nel governo di domani, anche questo è ben certo, operai, contadini, ed artigiani, tutte le classi popolari, avranno un peso determinante ed un posto adeguato a questo peso. (Longo pp. 27-8)
La democrazia secondo questa definizione aveva poco a che vedere con la democrazia nel senso in cui veniva intesa dagli Alleati, dai britannici in particolare, i quali erano contrari non soltanto alla componente comunista interna al CLN ma anche a quella repubblicana. Ciò significò che da quel momento in poi i britannici furono estremamente cauti nell’affidare troppo potere nelle mani dei partigiani, e questo Primo Ordine del Giorno confermava la loro riluttanza pregressa a rifornirli di armi. Il Foreign Office si allarmò per paura che questo Comitato di Liberazione potesse diventare una alternativa al governo di Badoglio, e questo atteggiamento persistette durante tutta la campagna militare. Secondo un rapporto dei Quartieri Generali della Commissione di Controllo degli Alleati, emesso a Perugia il 27 giugno 1944, subito dopo che la città era caduta nelle mani degli Alleati e due giorni prima della ritirata tedesca dalla Linea Albert all’interno della Provincia di Arezzo, i partigiani costituivano un problema per il Governo Militare degli Alleati.
L’Enciclopedia dell’Anti-fascismo e della Resistenza nota che la paura di un movimento di massa armato dominato dalle forze comuniste era una fissazione nella mente degli Alleati, e che tale rimase dal primo all’ultimo giorno della Guerra di Liberazione in Italia. Indubbiamente questa paura era un argomento ricorrente, infatti l’Enciclopedia parla esplicitamente dei timori degli Alleati che tra le forze della Resistenza prevalesse la componente comunista.
Gli Alleati, tuttavia, desideravano potersi avvalere dei partigiani sia pur in misura limitata, perché volevano che si concentrassero sui sabotaggi, sull’aiuto alla fuga dei prigionieri di guerra, e sugli attacchi ai tedeschi durante la loro ritirata, con l’obiettivo di impegnare una quantità considerevole di truppe nemiche in attività di contro-guerriglia. Ma, come già detto, gli scopi dei partigiani erano molto più politici, e un rapporto che si riferisce alla Divisione ‘Modena’ in Emilia Romagna nota che erano niente altro che comunisti, interessati solo alla politica e del tutto inadatti al combattimento. (Lamb p. 223)
Quando rispondeva ai suoi scopi, il General Harold Alexander, comandante britannico delle Truppe Alleate in Europa, non esitava ad incitarli all’attacco contro i tedeschi. Nelle trasmissioni di Radio Bari dell’8 e del 9 giugno 1944 invitava tutti i gruppi partigiani della Provincia di Arezzo ad entrare in azione insieme. Questo era il segnale che essi stavano aspettando perché avvalorava una decisione già presa dal CLN e dal comando partigiano il 26 maggio; gli attacchi sferrati da loro nel giugno e luglio del 1944 raddoppiarono in confronto alle loro attività dei mesi precedenti. Sfortunatamente però per la provincia, la risposta tedesca a questo incremento delle azioni di guerriglia fu l’uccisione di un migliaio di civili innocenti come atti di rappresaglia. Richard Lamb, scrivendo dell’Italia in generale, commenta
Capi partigiani irresponsabili insistevano negli attacchi ai tedeschi invece di limitarsi agli atti di sabotaggio e questo portò a rappresaglie selvagge contro comuni cittadini, che resero i partigiani molto invisi alla popolazione civile. (Lamb p. 8)
I gruppi partigiani erano perfettamente consapevoli del fatto che ogni loro azione in cui restasse ucciso un tedesco avrebbe comportato la esecuzione sommaria di dieci italiani. L’editto ‘dieci per uno’ fu pubblicato dal comandante tedesco Feldmarschall Albert Kesselring dopo un attacco a truppe nazi-fasciste a Roma in Via Rasella il 23 marzo 1944. In quella occasione trecentotrentacinque innocenti furono portati alle Fosse Ardeatine alla periferia della città per l’esecuzione. Il General Alexander, nei suoi proclami radiofonici che incitavano i partigiani a sparare ai tedeschi alle spalle, era anche ben consapevole del prezzo che i civili italiani avrebbero dovuto pagare per questo. Soltanto a Vallucciole cento otto innocenti tra uomini donne e bambini furono massacrati il 13 aprile 1944.