La Val d'Ambra
SAN PANCRAZIO - LA CANTINA PERANGIOLI
Il fiume Ambra sorge tra i Monti del Chianti e scorre verso sud-est prima di cambiare direzione per piegare verso nord-est, passando attraverso Pietraviva, Ambra, Capannole, Pogi e Bucine, e poi confluire nell’Arno dopo Levane. Molti di questi paesi furono colpiti dalle rappresaglie tedesche che ebbero luogo nel giugno 1944. C’erano una serie di gruppi di partigiani che operavano nell’area della Val d’Ambra benché nessuno di essi avesse sede lì, a meno di considerare la Banda Renzino che il 23 giugno prese parte alla battaglia di Montaltuzzo e che operava da Valibona sulle colline tra Civitella e San Pancrazio. Il 14 giugno il 3° distaccamento della 22/aª Brigata ‘Vittorio Sinigallia’, il ‘Chiatti’, che di solito operava nell’area attorno a Cavriglia, catturò un intero battaglione di ingegneri repubblichini che stavano riparando la ferrovia danneggiata nel tratto Chiusi-Firenze. L’unità militare che consisteva di cento ufficiali e cinquecento uomini fu annientata, e così i partigiani si procurarono una grande quantità di attrezzature, compresi revolver e pallottole. Le vittime ammontarono a sette tra morti e feriti, e furono fatti due prigionieri. Il 23 giugno, i partigiani uccisero due ufficiali tedeschi appartenenti alla Fallschirm-Panzer-Division ‘Hermann Göring’ tra Radda e Badia Coltibuono nei Monti del Chianti ad occidente. L’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’, che operava principalmente sulla riva opposta dell’Arno, sferrò due importanti attacchi nella Val d’Ambra all’inizio di luglio. Il primo del mese distrussero tredici veicoli tedeschi vicino Levane e il 5, in un attacco ad altri veicoli, due partigiani rimasero uccisi. Il distaccamento ‘Valentini’ della 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’, assalì l’ufficio di reclutamento della Guardia Nazionale Repubblicana a Levane e ne disarmò le reclute il 23 giugno, mentre il 6 luglio ad Acquaborra, Levane, uccise cinque soldati tedeschi durante un contrattacco.
San Pancrazio
Il 2 giugno, due partigiani che stavano sfuggendo al reclutamento, uno di diciannove e l’altro di ventidue anni, furono catturati e fucilati nella piazza ad Ambra dopo essere stati torturati. Questa fu la prima atrocità tedesca nella Val d’Ambra, ma non può essere classificata come rappresaglia civile. Il massacro a San Pancrazio invece fu una risposta diretta alla battaglia alla villa di Montaltuzzo che si trova a poca distanza dal paese.
All’alba del 29 giugno le truppe tedesche, dopo aver circondato la località chiamata Castello, svegliarono i civili inermi a scariche di mitragliatrice e ordinarono loro di lasciare le case e raccogliersi nella piazza. Separarono gli uomini dalle donne e bambini, li rinchiusero in una enorme cantina appartenente alla proprietà dei Perangioli e poi appiccarono il fuoco al paese. Quelli che erano rimasti nascosti nelle proprie soffitte o cantine furono costretti a fuggire dai loro nascondigli per evitare di rimanere bruciati vivi, e furono catturati dai tedeschi. Alcuni dei più coraggiosi cercarono di scappare ma furono falciati dal fuoco delle mitragliatrici. Infatti nella zona attorno al castello e nella campagna circostante furono trovati dodici cadaveri. Agli uomini nella cantina dissero che avevano bisogno di loro per riparazioni stradali e altri lavori urgenti. Poi fu loro ordinato di mettersi in una unica fila in modo tale che ciascuno potesse vedere la fine penosa di colui che lo precedeva; furono fatti passare attraverso la porta principale e poi uccisi con un colpo di pistola puntata alla nuca. Sessantadue corpi furono accatastati uno sull’altro, cosparsi di benzina e bruciati, mentre le donne ed i bambini nella piazza urlavano e chiedevano invano pietà per i loro cari che erano tutti innocenti. Quella giornata terribile terminò con settantaquattro morti, e ancora una volta il prete del paese, Don Giuseppe Torelli, si trovava tra le vittime.
Il Sergeant John Clarke, un fante del 6 Black Watch Regiment, parte della 12 Brigade, ha scritto il suo resoconto di quello che accadde a San Pancrazio.
Il 6 Black Watch si trovava nelle trincee a circa mezzo miglio da San Pancrazio, in attesa che il resto della 12 Brigade si unisse a noi, quando un nutrito gruppo di donne e bambini arrivò dal paese correndo giù per il pendio. Urlavano a squarciagola. Temendo che potessero rivelare la nostra collocazione, dovemmo farli allontanare dal punto in cui ci trovavamo. Dissero che i tedeschi erano entrati nel paese a bordo delle ambulanze. Ne erano uscite le SS che avevano rastrellato gli uomini, li avevano portati tutti dentro al mulino (sul lato meridionale) e li avevano fucilati. Io entrai nel paese col mio plotone, le donne correvano dietro di noi per cercare i loro uomini. Una bambina piccola stava smuovendo le macerie gridando “papà, papà”. Io la presi in braccio per confortarla, le chiesi il suo nome e lei rispose “Adriana”...Il Black Watch non rimase nel paese, lo attraversammo soltanto. I Royal Fusiliers vennero dopo di noi. Loro avranno più dettagli da riferire. (Clarke, John Lettera all’autrice)
Il 2 Royal Fusiliers entrò a San Pancrazio con l’appoggio dei carri armati canadesi. Nel Diario di Guerra della 4 Division si legge
Dopo la ritirata del 16 luglio, le W e XY Companies del 2 Royal Fusiliers - ciascuno su un lato della strada per San Pancrazio - lasciarono la loro posizione difensiva insieme allo A Squadron del 14 Canadian Armoured Regiment e andarono avanti a San Pancrazio, dove appresero dai civili che ancora erano lì, stupefatti e logorati dalle azioni di guerra, che i tedeschi se ne erano andati durante la notte. Il paese, tra il martellamento della nostra artiglieria durante la settimana precedente, e gli ultimi colpi del nemico nel tentativo decisamente riuscito di bloccare la strada più a monte, era ridotto ad un ennesimo penoso mucchio di rovine che pesano sulla coscienza del fascismo italiano; ma come ostacolo militare valse a poco, e presto fu aperta la strada attraverso le macerie degli edifici per i carri armati ed i veicoli su ruote. Dappertutto si sentivano storie di furti indiscriminati, rappresaglie, uccisioni gratuite e stupri, testimoniati quanto meno dalle prove evidenti dei villaggi distrutti e saccheggiati, dall’assenza di bestiame nelle fattorie e dallo stato d’animo della popolazione italiana stessa.
All’alba del 29 giugno le truppe tedesche, dopo aver circondato la località chiamata Castello, svegliarono i civili inermi a scariche di mitragliatrice e ordinarono loro di lasciare le case e raccogliersi nella piazza. Separarono gli uomini dalle donne e bambini, li rinchiusero in una enorme cantina appartenente alla proprietà dei Perangioli e poi appiccarono il fuoco al paese. Quelli che erano rimasti nascosti nelle proprie soffitte o cantine furono costretti a fuggire dai loro nascondigli per evitare di rimanere bruciati vivi, e furono catturati dai tedeschi. Alcuni dei più coraggiosi cercarono di scappare ma furono falciati dal fuoco delle mitragliatrici. Infatti nella zona attorno al castello e nella campagna circostante furono trovati dodici cadaveri. Agli uomini nella cantina dissero che avevano bisogno di loro per riparazioni stradali e altri lavori urgenti. Poi fu loro ordinato di mettersi in una unica fila in modo tale che ciascuno potesse vedere la fine penosa di colui che lo precedeva; furono fatti passare attraverso la porta principale e poi uccisi con un colpo di pistola puntata alla nuca. Sessantadue corpi furono accatastati uno sull’altro, cosparsi di benzina e bruciati, mentre le donne ed i bambini nella piazza urlavano e chiedevano invano pietà per i loro cari che erano tutti innocenti. Quella giornata terribile terminò con settantaquattro morti, e ancora una volta il prete del paese, Don Giuseppe Torelli, si trovava tra le vittime.
Il Sergeant John Clarke, un fante del 6 Black Watch Regiment, parte della 12 Brigade, ha scritto il suo resoconto di quello che accadde a San Pancrazio.
Il 6 Black Watch si trovava nelle trincee a circa mezzo miglio da San Pancrazio, in attesa che il resto della 12 Brigade si unisse a noi, quando un nutrito gruppo di donne e bambini arrivò dal paese correndo giù per il pendio. Urlavano a squarciagola. Temendo che potessero rivelare la nostra collocazione, dovemmo farli allontanare dal punto in cui ci trovavamo. Dissero che i tedeschi erano entrati nel paese a bordo delle ambulanze. Ne erano uscite le SS che avevano rastrellato gli uomini, li avevano portati tutti dentro al mulino (sul lato meridionale) e li avevano fucilati. Io entrai nel paese col mio plotone, le donne correvano dietro di noi per cercare i loro uomini. Una bambina piccola stava smuovendo le macerie gridando “papà, papà”. Io la presi in braccio per confortarla, le chiesi il suo nome e lei rispose “Adriana”...Il Black Watch non rimase nel paese, lo attraversammo soltanto. I Royal Fusiliers vennero dopo di noi. Loro avranno più dettagli da riferire. (Clarke, John Lettera all’autrice)
Il 2 Royal Fusiliers entrò a San Pancrazio con l’appoggio dei carri armati canadesi. Nel Diario di Guerra della 4 Division si legge
Dopo la ritirata del 16 luglio, le W e XY Companies del 2 Royal Fusiliers - ciascuno su un lato della strada per San Pancrazio - lasciarono la loro posizione difensiva insieme allo A Squadron del 14 Canadian Armoured Regiment e andarono avanti a San Pancrazio, dove appresero dai civili che ancora erano lì, stupefatti e logorati dalle azioni di guerra, che i tedeschi se ne erano andati durante la notte. Il paese, tra il martellamento della nostra artiglieria durante la settimana precedente, e gli ultimi colpi del nemico nel tentativo decisamente riuscito di bloccare la strada più a monte, era ridotto ad un ennesimo penoso mucchio di rovine che pesano sulla coscienza del fascismo italiano; ma come ostacolo militare valse a poco, e presto fu aperta la strada attraverso le macerie degli edifici per i carri armati ed i veicoli su ruote. Dappertutto si sentivano storie di furti indiscriminati, rappresaglie, uccisioni gratuite e stupri, testimoniati quanto meno dalle prove evidenti dei villaggi distrutti e saccheggiati, dall’assenza di bestiame nelle fattorie e dallo stato d’animo della popolazione italiana stessa.
Pietraviva, Pogi, Campitello Perelli, San Leolino e Cappanole
E’ chiaro comunque che la risposta tedesca ai fatti di Montaltuzzo non si limitò ai due massacri di Civitella e San Pancrazio. Una atrocità simile fu evitata di scarsa misura a Pietraviva, dove all’alba della stessa mattina, il 29 giugno, le truppe tedesche radunarono la gente, presero tutti gli uomini, li misero in una capanna lungo la strada dove probabilmente avevano intenzione di ucciderli. Diversamente da ciò che accadeva in casi del genere, sembra che fossero stati interrogati, e quando risultò chiaro che non erano partigiani furono tutti rilasciati.
Nel 1944 a Pietraviva c'era la prima comunione. La nonna e il nonno insieme al babbo erano in casa, sentirono chiasso, guardarono dalla finestra. Videro bambini della comunione correre impauriti perché c'erano i tedeschi che cercavano da mangiare. Allora arrivarono i partigiani e spararono contro i tedeschi. Allora i tedeschi fuggirono ma più tardi ritornarono in tanti e incominciarono a sparare e incendiarono la bottega del barbiere. Ma la signora Antilide gli disse, “non sono gente cattiva scappano perché hanno paura”. Allora i tedeschi aiutarono a spegnere il fuoco. C'era anche un giovane demente che si chiamava Lello. I tedeschi si accorsero che aveva dei bossoli in mano. Credendo che fossero pieni, lo uccisero e lo lasciarono in mezzo alla strada. (Bucine. La Resistenza s.p.)
Lo stesso giorno nel fondo-valle vicino Pogi due uomini furono visti con un revolver e furono uccisi a colpi d’arma da fuoco. Sarebbe abbastanza ovvio pensare che, piuttosto che creare una zona vuota vicino al fronte, le truppe tedesche fossero impegnate a eliminare qualunque uomo fosse sospettato di essere un partigiano. Ciò è evidenziato anche da un’altra azione a Badia a Ruoti il 7 luglio, quando alcuni tedeschi arrivarono al paese e, sparando mentre avanzavano, irruppero nelle case. Catturarono sette uomini indiscriminatamente e li fucilarono. Lo stesso giorno a Campitello Perelli, dopo la morte di due tedeschi sotto i bombardamenti alleati, i loro compagni, pensando che fossero stati uccisi dai partigiani, presero undici persone innocenti e ne fucilarono sette immediatamente nel cratere stesso creato dalla bomba, e gli altri quattro il giorno successivo.
Va ricordato che il giorno 6, in una battaglia combattuta tra tedeschi e partigiani del ‘Valentini’ più a valle ad Acquaborra, Levane, erano rimasti uccisi cinque soldati. Considerato che i partigiani di solito avevano le loro basi sui monti, era in queste aree e nei paesi pedecollinari che le rappresaglie avevano luogo. Il 9 luglio nell’area di Gracine i tedeschi chiesero informazioni per trovare i partigiani, allora per allontanare le truppe dalla sua casa un uomo di nome Ernesto Poggi indicò le colline vicine. I tedeschi gli chiesero di far loro strada, minacciando di ucciderlo se si fosse rifiutato. Poggi li condusse su attraverso i boschi di Ristolli alla fattoria di nome Podere al Fattore, sopra al paese di San Leolino. I tedeschi circondarono la fattoria, catturarono le persone che vi erano nascoste, le portarono giù al paese e le fecero allineare davanti alla chiesa, lasciando alcuni uomini a guardia mentre il resto cominciò a sparare nei boschi. Nove uomini furono uccisi alla fattoria, compreso Poggi, e sei rimasero feriti. Il bilancio delle vittime sarebbe stato probabilmente più alto se la maggior parte dei tedeschi non si fosse abbandonata ad una solenne sbornia; si dice anche che alcuni di loro avessero accettato un compenso per lasciare libere alcune persone.
Gino Migliorini, di sedici anni, fu catturato mentre tornava a casa dal suo rifugio per dar da mangiare ai conigli, e fu fucilato col pretesto che fosse un partigiano. Il suo corpo fu buttato giù da una scarpata. Altri tre furono uccisi ad Ambra tra il 9 e il 13 luglio, tutti catturati in casa o in un nascondiglio. L’accusa era sempre quella di essere un partigiano o un loro connivente. In un altro incidente l’11 luglio, alcune truppe tedesche e fasciste, senza alcun altro motivo apparente a parte quello di cercare di sradicare la presenza partigiana, catturarono e uccisero tre uomini a Capannole. Fecero loro costruire qualche piattaforma per mitragliatrici prima di portarli nei giardini di Villa Rubeschi, dove furono costretti a scavarsi le loro fosse prima di essere fucilati. Il giorno 15 i tedeschi inflissero la stessa sorte ad un quarto uomo che aveva più di settanta anni.
Nel 1944 a Pietraviva c'era la prima comunione. La nonna e il nonno insieme al babbo erano in casa, sentirono chiasso, guardarono dalla finestra. Videro bambini della comunione correre impauriti perché c'erano i tedeschi che cercavano da mangiare. Allora arrivarono i partigiani e spararono contro i tedeschi. Allora i tedeschi fuggirono ma più tardi ritornarono in tanti e incominciarono a sparare e incendiarono la bottega del barbiere. Ma la signora Antilide gli disse, “non sono gente cattiva scappano perché hanno paura”. Allora i tedeschi aiutarono a spegnere il fuoco. C'era anche un giovane demente che si chiamava Lello. I tedeschi si accorsero che aveva dei bossoli in mano. Credendo che fossero pieni, lo uccisero e lo lasciarono in mezzo alla strada. (Bucine. La Resistenza s.p.)
Lo stesso giorno nel fondo-valle vicino Pogi due uomini furono visti con un revolver e furono uccisi a colpi d’arma da fuoco. Sarebbe abbastanza ovvio pensare che, piuttosto che creare una zona vuota vicino al fronte, le truppe tedesche fossero impegnate a eliminare qualunque uomo fosse sospettato di essere un partigiano. Ciò è evidenziato anche da un’altra azione a Badia a Ruoti il 7 luglio, quando alcuni tedeschi arrivarono al paese e, sparando mentre avanzavano, irruppero nelle case. Catturarono sette uomini indiscriminatamente e li fucilarono. Lo stesso giorno a Campitello Perelli, dopo la morte di due tedeschi sotto i bombardamenti alleati, i loro compagni, pensando che fossero stati uccisi dai partigiani, presero undici persone innocenti e ne fucilarono sette immediatamente nel cratere stesso creato dalla bomba, e gli altri quattro il giorno successivo.
Va ricordato che il giorno 6, in una battaglia combattuta tra tedeschi e partigiani del ‘Valentini’ più a valle ad Acquaborra, Levane, erano rimasti uccisi cinque soldati. Considerato che i partigiani di solito avevano le loro basi sui monti, era in queste aree e nei paesi pedecollinari che le rappresaglie avevano luogo. Il 9 luglio nell’area di Gracine i tedeschi chiesero informazioni per trovare i partigiani, allora per allontanare le truppe dalla sua casa un uomo di nome Ernesto Poggi indicò le colline vicine. I tedeschi gli chiesero di far loro strada, minacciando di ucciderlo se si fosse rifiutato. Poggi li condusse su attraverso i boschi di Ristolli alla fattoria di nome Podere al Fattore, sopra al paese di San Leolino. I tedeschi circondarono la fattoria, catturarono le persone che vi erano nascoste, le portarono giù al paese e le fecero allineare davanti alla chiesa, lasciando alcuni uomini a guardia mentre il resto cominciò a sparare nei boschi. Nove uomini furono uccisi alla fattoria, compreso Poggi, e sei rimasero feriti. Il bilancio delle vittime sarebbe stato probabilmente più alto se la maggior parte dei tedeschi non si fosse abbandonata ad una solenne sbornia; si dice anche che alcuni di loro avessero accettato un compenso per lasciare libere alcune persone.
Gino Migliorini, di sedici anni, fu catturato mentre tornava a casa dal suo rifugio per dar da mangiare ai conigli, e fu fucilato col pretesto che fosse un partigiano. Il suo corpo fu buttato giù da una scarpata. Altri tre furono uccisi ad Ambra tra il 9 e il 13 luglio, tutti catturati in casa o in un nascondiglio. L’accusa era sempre quella di essere un partigiano o un loro connivente. In un altro incidente l’11 luglio, alcune truppe tedesche e fasciste, senza alcun altro motivo apparente a parte quello di cercare di sradicare la presenza partigiana, catturarono e uccisero tre uomini a Capannole. Fecero loro costruire qualche piattaforma per mitragliatrici prima di portarli nei giardini di Villa Rubeschi, dove furono costretti a scavarsi le loro fosse prima di essere fucilati. Il giorno 15 i tedeschi inflissero la stessa sorte ad un quarto uomo che aveva più di settanta anni.
L'arrivo delle truppe britanniche
Complessivamente furono centotredici le persone massacrate nel Comune di Bucine tra giugno e luglio del 1944, e questo numero avrebbe potuto essere ancora più elevato se non fosse stato per l’arrivo tempestivo della 4 British Division, precisamente la C Company del 2 Bedford and Hertfordshire Regiment, che intervenne a liberare alcuni ostaggi vicino alla stazione ferroviaria di Laterina, tra Pergine e Levane, il 19 di luglio. Il loro rapporto recita
L’8 luglio il 2 Battalion del Bedfordshire and Hertfordshire Regiment ricevette l’ordine di occupare le posizioni sulle colline tenute dal 2 Somerset Light Infantry...non lontano da Civitella...Noi occupammo queste posizioni difensive in collina per più di una settimana ma non rimanemmo inattivi, eseguimmo una serie di preziose perlustrazioni. Il 17 luglio il battaglione poté avanzare di nuovo, mentre il nemico, a seguito della caduta di Arezzo, abbandonava le sue postazioni collinari e operava una ritirata generale. Quel giorno, il 18, la nostra avanzata incontrò solo una opposizione debole, benché i lanci difensivi di granate della Boche furono massicci. Alle 23:00 del 18 luglio la C Company fece uscire una pattuglia di ricognizione per scoprire se Pergine, una cittadina ad un miglio circa di distanza, fosse sotto il controllo nemico. La pattuglia tornò poco prima dell’alba senza aver incontrato opposizione, riferendo che la cittadina era libera. Alle 06:00 del 19 luglio l’avanzata riprese lungo l’asse della strada, attraverso Pergine verso Levane, un paese a circa cinque o sei miglia di distanza...La campagna di fronte a noi si presentava collinosa, cosparsa di profondi e ripidi calanchi. Le colline erano per lo più boscose benché su entrambi i lati della strada ci fossero campi aperti. A destra della strada e in parallelo ad essa correva una ferrovia, mentre a sinistra c’era un poggio boscoso.
Alle 18:00 del 19 luglio l’Ufficiale in Capo arrivò e ordinò una ulteriore avanzata per occupare Levane. Alle 23:00 un partigiano italiano riferì al comando del battaglione che sei tedeschi, armati di sole pistole, stavano resistendo in una casa vicino alla stazione ferroviaria. Affermò inoltre che un certo numero di donne, compresa sua figlia, erano state imprigionate nella casa, e si offrì di fare da guida. Di conseguenza la C Company inviò una pattuglia di venti uomini pesantemente armati, al comando del Sergeant Jackson. Tornarono tre ore e mezzo più tardi e riferirono di aver attaccato la casa con le mitragliatrici. La truppa di perlustrazione era stata sottoposta a fuoco nemico e stimò che il numero dei nemici si aggirasse attorno a dodici.
Il giorno successivo questa fattoria fu presa dalla C Company e furono liberati cinquanta civili italiani. Nel giro di cinque minuti dall’arrivo alla fattoria, sulla C Company si abbatté una pesante concentrazione di artiglieria nemica. La casa fu colpita alcune volte ed i soldati sparsi là attorno si trovarono in grave difficoltà. Nonostante ciò, la maggior parte delle vittime si verificò tra gli italiani, mentre solo un uomo della compagnia fu ferito. La ritirata avvenne a scaglioni attraverso la campagna aperta fino alla stazione. (The Story of the Bedfordshire and Hertfordshire Regiment Volume 2, 1914-1958 p. 657)
Billy Pickess, un fante della C Company del 2 Bedford and Hertfordshire Regiment ha scritto quello che ricordava sull’argomento.
Mi sembrano secoli da quando mi trovai là col 13 Platoon; ora ho ottantatre anni ma mi ricordo ancora quell’episodio degli ostaggi tenuti in quella casa. Penso che il battaglione stesse riposando quando la nostra C Company ricevette l’ordine di raggiungere quella casa in base alle informazioni che avevamo, secondo le quali un certo numero di italiani erano tenuti in ostaggio dai tedeschi. Comunque, ci portarono nella zona dove c’era la casa e prendemmo posizione ad una certa distanza da essa. Quando i nostri ufficiali ci diedero l’ordine, aprimmo il fuoco sulla casa coi nostri fucili. Dopo aver ricevuto l’ordine di cessare il fuoco, dato che si videro alcuni civili scappare fuori dall’edificio, avendo completato il nostro incarico, rientrammo al battaglione e apprendemmo che se fossimo rimasti avremmo potuto infastidire la ‘Hermann Göring’ Division che si trovava in quella zona. (Pickess, Billy Lettera all’autrice)
La ritirata tedesca da Arezzo, cui fa riferimento il 2 Battalion Bedford and Hertfordshire Regiment, consentì alla 4 British Division di avanzare. Quelle del 2 King’s Liverpool Regiment furono le prime truppe alleate ad arrivare a San Leolino. Il pomeriggio del 16, una ronda di quattro uomini entrò nel paese e durante uno scontro con i tedeschi due di loro furono presi prigionieri. Un partigiano che era stato al confino politico sin da quando aveva combattuto contro il generale Franco nella Guerra Civile spagnola, e che era stato rilasciato solo con la caduta del fascismo, attraversò la linea del fronte e, presentatosi al comando britannico, si offrì di guidare un’azione per liberare il suo paese. Nella battaglia che ne seguì vari tedeschi, compreso un ufficiale, furono catturati e furono presi una certa quantità di armi ed alcuni veicoli, nonché due tedeschi furono uccisi. Uno di questi ultimi stava cercando di scappare su una motocicletta, e l’altro stava per far esplodere una mina che avrebbe fatto saltare tutto il paese. Il comandante britannico consegnò la motocicletta al partigiano che aveva condotto l’azione, insieme ad una lettera che attestava il contributo che egli aveva dato alla lotta contro il nemico comune.
L’8 luglio il 2 Battalion del Bedfordshire and Hertfordshire Regiment ricevette l’ordine di occupare le posizioni sulle colline tenute dal 2 Somerset Light Infantry...non lontano da Civitella...Noi occupammo queste posizioni difensive in collina per più di una settimana ma non rimanemmo inattivi, eseguimmo una serie di preziose perlustrazioni. Il 17 luglio il battaglione poté avanzare di nuovo, mentre il nemico, a seguito della caduta di Arezzo, abbandonava le sue postazioni collinari e operava una ritirata generale. Quel giorno, il 18, la nostra avanzata incontrò solo una opposizione debole, benché i lanci difensivi di granate della Boche furono massicci. Alle 23:00 del 18 luglio la C Company fece uscire una pattuglia di ricognizione per scoprire se Pergine, una cittadina ad un miglio circa di distanza, fosse sotto il controllo nemico. La pattuglia tornò poco prima dell’alba senza aver incontrato opposizione, riferendo che la cittadina era libera. Alle 06:00 del 19 luglio l’avanzata riprese lungo l’asse della strada, attraverso Pergine verso Levane, un paese a circa cinque o sei miglia di distanza...La campagna di fronte a noi si presentava collinosa, cosparsa di profondi e ripidi calanchi. Le colline erano per lo più boscose benché su entrambi i lati della strada ci fossero campi aperti. A destra della strada e in parallelo ad essa correva una ferrovia, mentre a sinistra c’era un poggio boscoso.
Alle 18:00 del 19 luglio l’Ufficiale in Capo arrivò e ordinò una ulteriore avanzata per occupare Levane. Alle 23:00 un partigiano italiano riferì al comando del battaglione che sei tedeschi, armati di sole pistole, stavano resistendo in una casa vicino alla stazione ferroviaria. Affermò inoltre che un certo numero di donne, compresa sua figlia, erano state imprigionate nella casa, e si offrì di fare da guida. Di conseguenza la C Company inviò una pattuglia di venti uomini pesantemente armati, al comando del Sergeant Jackson. Tornarono tre ore e mezzo più tardi e riferirono di aver attaccato la casa con le mitragliatrici. La truppa di perlustrazione era stata sottoposta a fuoco nemico e stimò che il numero dei nemici si aggirasse attorno a dodici.
Il giorno successivo questa fattoria fu presa dalla C Company e furono liberati cinquanta civili italiani. Nel giro di cinque minuti dall’arrivo alla fattoria, sulla C Company si abbatté una pesante concentrazione di artiglieria nemica. La casa fu colpita alcune volte ed i soldati sparsi là attorno si trovarono in grave difficoltà. Nonostante ciò, la maggior parte delle vittime si verificò tra gli italiani, mentre solo un uomo della compagnia fu ferito. La ritirata avvenne a scaglioni attraverso la campagna aperta fino alla stazione. (The Story of the Bedfordshire and Hertfordshire Regiment Volume 2, 1914-1958 p. 657)
Billy Pickess, un fante della C Company del 2 Bedford and Hertfordshire Regiment ha scritto quello che ricordava sull’argomento.
Mi sembrano secoli da quando mi trovai là col 13 Platoon; ora ho ottantatre anni ma mi ricordo ancora quell’episodio degli ostaggi tenuti in quella casa. Penso che il battaglione stesse riposando quando la nostra C Company ricevette l’ordine di raggiungere quella casa in base alle informazioni che avevamo, secondo le quali un certo numero di italiani erano tenuti in ostaggio dai tedeschi. Comunque, ci portarono nella zona dove c’era la casa e prendemmo posizione ad una certa distanza da essa. Quando i nostri ufficiali ci diedero l’ordine, aprimmo il fuoco sulla casa coi nostri fucili. Dopo aver ricevuto l’ordine di cessare il fuoco, dato che si videro alcuni civili scappare fuori dall’edificio, avendo completato il nostro incarico, rientrammo al battaglione e apprendemmo che se fossimo rimasti avremmo potuto infastidire la ‘Hermann Göring’ Division che si trovava in quella zona. (Pickess, Billy Lettera all’autrice)
La ritirata tedesca da Arezzo, cui fa riferimento il 2 Battalion Bedford and Hertfordshire Regiment, consentì alla 4 British Division di avanzare. Quelle del 2 King’s Liverpool Regiment furono le prime truppe alleate ad arrivare a San Leolino. Il pomeriggio del 16, una ronda di quattro uomini entrò nel paese e durante uno scontro con i tedeschi due di loro furono presi prigionieri. Un partigiano che era stato al confino politico sin da quando aveva combattuto contro il generale Franco nella Guerra Civile spagnola, e che era stato rilasciato solo con la caduta del fascismo, attraversò la linea del fronte e, presentatosi al comando britannico, si offrì di guidare un’azione per liberare il suo paese. Nella battaglia che ne seguì vari tedeschi, compreso un ufficiale, furono catturati e furono presi una certa quantità di armi ed alcuni veicoli, nonché due tedeschi furono uccisi. Uno di questi ultimi stava cercando di scappare su una motocicletta, e l’altro stava per far esplodere una mina che avrebbe fatto saltare tutto il paese. Il comandante britannico consegnò la motocicletta al partigiano che aveva condotto l’azione, insieme ad una lettera che attestava il contributo che egli aveva dato alla lotta contro il nemico comune.