Rappresaglie e Resistenza
Come già detto, il movimento partigiano ed i suoi eredi politici non hanno mai voluto dare giusto peso al ruolo delle forze alleate nella liberazione del paese. Lo storico Filippo Focardi del Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna ha scritto che
le forze eredi dell'antifascismo…nel dopoguerra hanno edificato e celebrato una memoria della seconda guerra mondiale basata sull'esaltazione della Resistenza quale lotta di liberazione nazionale contro il ‘tedesco invasore e il fascista traditore’, la quale si è imposta come memoria collettiva dominante, grazie anche all'opera delle istituzioni della Repubblica. (Focardi F. 2004-8)
Quanto al ruolo militare dei partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia, non c’è accordo tra gli storici sul peso che la guerra partigiana possa aver avuto nell’accelerazione del ritiro dei tedeschi dal territorio italiano. Antonio Pietra nel suo libro dice
Non è impresa da poco determinare quanto abbia contato l’azione della Resistenza italiana (e, in più, quella europea) nella sconfitta del nazismo. (Pietra A. in Biscarini C. 2000 p. 41)
Mentre il General Alexander ha scritto nelle sue memorie che i partigiani non hanno mai rappresentato una reale minaccia per i tedeschi, benché fosse necessario riconoscere che avevano giocato il loro ruolo nella causa degli Alleati, il Colonel Hewitt, comandante della Special Force No. 1, i cui membri ebbero contatti frequenti con le formazioni partigiane, attribuisce maggior peso al loro contributo; dice che senza i partigiani la vittoria degli Alleati non sarebbe stata tanto rapida e completa, con perdite relativamente contenute. (Pietra A. in Biscarini p. 41)
Lo storico militare Claudio Biscarini fa presente che gli Alleati stessi limitarono volutamente il potenziale contributo militare dei partigiani quando dice "Anche quando ai reparti si unirono dei partigiani, quasi sempre la loro unica preoccupazione fu di disarmarli." (Biscarini p. 40)
I partigiani vennero disarmati perché gli Alleati erano della stessa convinzione espressa dal partigiano Vasco Palazzeschi della 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’, quando dice "La Resistenza è stata un fatto principalmente politico." (Palazzeschi V. p.5) e quindi furono molto attenti a limitare l’attività militare dei partigiani successivamente al passaggio del fronte.
Nonostante il fatto che Radio Londra abbia citato i partigiani di Arezzo tre volte, lodandoli per le loro azioni e per il loro contributo alla Guerra di Liberazione, è difficile essere precisi sull’effettivo impatto militare che i loro attacchi alle truppe tedesche e alle loro linee di rifornimento abbiano avuto sull’avanzata alleata. Raffaello Sacconi della 23ª ‘Pio Borri’ attribuisce un peso considerevole al fatto che i tedeschi erano costretti a spostare le unità dalla linea del fronte per contrastare la minaccia partigiana. Scrive infatti che
Gli automezzi che debbono transitare per i passi dei Mandrioli, della Consuma, della Verna, della Calla, debbono sostare nei pressi di Bibbiena per proseguire poi in colonna scortata da autoblindo e carri armati. È questo un rilevante successo della Resistenza, che impegna a distoglie dal fronte rilevanti forze tedesche e che, nel contempo, influisce negativamente sul morale del nemico. (Sacconi R. p. 43)
Vasco Palazzeschi è arrivato addirittura a sostenere che non è che gli Alleati facessero molto per aiutare i partigiani impiegati a combattere i tedeschi, (Palazzeschi V. p. 41) indubbiamente riferendosi al fatto che le truppe britanniche e indiane si spinsero verso nord lungo la Valle del Casentino e la Valle dell’Arno, nella piena consapevolezza che c’erano ancora dei tedeschi sul Pratomagno, ma senza avere la minima intenzione di sradicarli.
Quanto alla effettiva competenza dei partigiani in qualità di militari, Antonio Pietra scrive che
Partigiani perlopiù giovani e senza esperienza di combattimento o di maneggio di armi, tendevano a sviluppare due tendenze; o sparavano con gran spreco di colpi o addirittura non sparavano. (Pietra A. in Biscarini p. 40)
Biscarini riassume la valutazione del ruolo militare dei partigiani come segue:
Da parte resistenziale, infatti, si è spesso sopravvalutato il ruolo militare delle formazioni, mentre dalla parte avversaria e non solo, si è giunti a sostenere con sempre più forza che fu praticamente nullo...Ovviamente la verità storica sta nel mezzo. (Biscarini C. p. 81)
Se fosse così - cioè se il contributo militare dei partigiani nella Provincia di Arezzo fosse stato utile perché i tedeschi furono costretti a spostare le truppe dalla Valle del Tevere per far fronte alle bande, ma non fu decisivo nell’accelerare l’avanzata alleata verso la Linea Gotica – quindi si dovrebbe trovare una risposta adeguata alla domanda che si pone: ossia se il contributo militare dei partigiani sia stato effettivamente tanto importante da giustificare più di un migliaio di vittime civili. L’unico risultato decisivo dei loro attacchi alle truppe tedesche sembrerebbe essere il massacro di civili innocenti.
Ovviamente questa è una constatazione alla luce del fatto; che all’epoca i tedeschi vedessero i partigiani come una minaccia crescente si evince dai loro Diari di Guerra e da altri documenti. Eugen Dollman, SS Oberstürmbannführer, riteneva che il Feldmarschall Kesselring stesse addirittura considerando l’ipotesi di venire a patti con le bande. Kesselring stesso ha scritto che dopo che le sue truppe avevano abbandonato Roma nel giugno del 1944 c’era stato un inasprimento della attività partigiana, cosa in parte inaspettata per lui, e da quel momento in poi la guerra partigiana divenne un pericolo reale per i tedeschi, per cui l’esigenza della loro eliminazione divenne un priorità massima.
Senza considerare l’uccisione di quegli individui che si erano opposti alle truppe tedesche intente a rubare i loro beni o stuprare le loro donne, i fatti sembrano dimostrare che quasi tutti gli altri massacri perpetrati dai tedeschi furono rappresaglie eseguite a seguito di attacchi partigiani ai loro convogli o alle loro truppe, anche se il numero di queste uccisioni spesso supera il rapporto di dieci a uno. Il fatto che questa proporzione fosse considerata un criterio guida approssimativo per stabilire quanti civili fosse possibile uccidere, si deduce da una dichiarazione emessa da Kesselring il 17 giugno, quando disse, "Proteggerò qualunque ufficiale che ecceda i limiti da noi comunemente stabiliti nella scelta e nella severità dei metodi adottati contro i partigiani." (Lamb R. p. 64)
Nel tentativo di sollevare i partigiani dalla responsabilità, molti autori hanno attribuito i massacri perpetrati dai nazi-fascisti alla tattica da loro esercitata di fare terra bruciata o alla intenzione degli stessi di ripulire tutta la zona della popolazione maschile trovata ad una determinata distanza dal fronte. Uno di questi, Ivo Biagianti, sostiene la tesi che i massacri fossero parte di un disegno generale.
Nella parte settentrionale della regione, a ridosso della Linea Gotica, i nazisti procedono a veri e propri rastrellamenti, deportazioni, massacri o stragi di massa, per fare terra pulita in una zona interessata dalle imponenti opere di fortificazioni. (Biagianti I. in Tognarini I. p 175)...Iniziano allora le stragi commesse da un esercito in fuga...per sbaglio, per rappresaglia, per terrorismo, per rabbia; ma fondamentalmente per una direttiva politica generale seguita dalle truppe tedesche nei paesi di occupazione, che consiste nella pratica dello sterminio, dopo cinque anni di guerra e oltre un decennio di esaltazione della superiorità della razza ariana, hanno fatto smarrire a soldati e ufficiali il valore della vita e della pace. (Ibidem p. 184)
Anche se la teoria dello sterminio spinto dalle idee politiche potrebbe essere ritenuta valida, la vicinanza alla Linea Gotica non può essere citata per quanto riguarda la Provincia di Arezzo, dato che la linea di difesa più vicina alla Provincia di Arezzo non fu la Linea Gotica (che si trova più a nord) ma la Linea Arno, che da Pisa seguiva l’Arno fino alla confluenza con il Sieve prima di attraversare la zone settentrionale del Pratomagno fra Consuma e Montemignaio. La spiegazione di Biagianti potrebbe essere ritenuta valida per l’eccidio di Partina ed anche un’aggravante per quello di Vallucciole, ma non è applicabile nei casi di Civitella, San Pancrazio e Castelnuovo dei Sabbioni/Meleto, dove morì la maggiore parte delle vittime. Biagianti evita di collegare direttamente le rappresaglie con le attività dei partigiani, benché nel paragrafo che segue fa riferimento ad entrambe:
In Provincia di Arezzo la lotta per la libertà è molto dura ed ha un costo umano eccezionalmente alto, soprattutto fra i civili vittime delle stragi...La ferocia delle stragi si scatena soprattutto nell'estate del '44 quando i nazi-fascisti si sentirono incalzati dal sopraggiungere degli eserciti alleati ed insicuri per la presenza di gruppi partigiani operanti anche in quelle stesse montagne dove si stava lavorando alla costruzione delle linee gotiche. (Ibidem p. 184)
Luigi Ganapini, uno dei pochi autori che individuano le attività partigiane come causa delle rappresaglie, in una sua recente valutazione scrive
Come abbiamo detto, l'importanza della lotta partigiana si rileva anche dalla frequenza con cui i tedeschi risposero con stragi brutali di civili. (Ganapini L. in Biscarini p. 42)
Ci sono le prove che gli atteggiamenti dei tedeschi verso la popolazione civile abbiano cominciato a cambiare quando l’attività partigiana si è intensificata. Il rapporto al Consiglio dei Ministri, consegnato dai Carabinieri, a cui si è già fatto riferimento altrove, afferma con la massima chiarezza che i tedeschi modificarono il loro comportamento come risultato degli attacchi partigiani.
Le truppe tedesche dislocate nella Provincia di Arezzo ed in transito per le rotabili della stessa, fino a tutto il mese di marzo, mantennero nei confronti della popolazione, e dei beni di questa, contegno abbastanza corretto. Fu invece, dai primi di aprile che le truppe medesime, in seguito all'uccisione o ferimento di militari tedeschi, alla scomparsa di materiali militari, ad atti di sabotaggio agli impianti telefonici e alle vie di comunicazione da parte dei patrioti, che presero ad infierire brutalmente con rappresaglie di ogni specie verso i civili innocenti abitanti nelle zone dove si erano verificati i fatti precedenti. (Carabinieri in Tognarini p. 418)
le forze eredi dell'antifascismo…nel dopoguerra hanno edificato e celebrato una memoria della seconda guerra mondiale basata sull'esaltazione della Resistenza quale lotta di liberazione nazionale contro il ‘tedesco invasore e il fascista traditore’, la quale si è imposta come memoria collettiva dominante, grazie anche all'opera delle istituzioni della Repubblica. (Focardi F. 2004-8)
Quanto al ruolo militare dei partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia, non c’è accordo tra gli storici sul peso che la guerra partigiana possa aver avuto nell’accelerazione del ritiro dei tedeschi dal territorio italiano. Antonio Pietra nel suo libro dice
Non è impresa da poco determinare quanto abbia contato l’azione della Resistenza italiana (e, in più, quella europea) nella sconfitta del nazismo. (Pietra A. in Biscarini C. 2000 p. 41)
Mentre il General Alexander ha scritto nelle sue memorie che i partigiani non hanno mai rappresentato una reale minaccia per i tedeschi, benché fosse necessario riconoscere che avevano giocato il loro ruolo nella causa degli Alleati, il Colonel Hewitt, comandante della Special Force No. 1, i cui membri ebbero contatti frequenti con le formazioni partigiane, attribuisce maggior peso al loro contributo; dice che senza i partigiani la vittoria degli Alleati non sarebbe stata tanto rapida e completa, con perdite relativamente contenute. (Pietra A. in Biscarini p. 41)
Lo storico militare Claudio Biscarini fa presente che gli Alleati stessi limitarono volutamente il potenziale contributo militare dei partigiani quando dice "Anche quando ai reparti si unirono dei partigiani, quasi sempre la loro unica preoccupazione fu di disarmarli." (Biscarini p. 40)
I partigiani vennero disarmati perché gli Alleati erano della stessa convinzione espressa dal partigiano Vasco Palazzeschi della 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’, quando dice "La Resistenza è stata un fatto principalmente politico." (Palazzeschi V. p.5) e quindi furono molto attenti a limitare l’attività militare dei partigiani successivamente al passaggio del fronte.
Nonostante il fatto che Radio Londra abbia citato i partigiani di Arezzo tre volte, lodandoli per le loro azioni e per il loro contributo alla Guerra di Liberazione, è difficile essere precisi sull’effettivo impatto militare che i loro attacchi alle truppe tedesche e alle loro linee di rifornimento abbiano avuto sull’avanzata alleata. Raffaello Sacconi della 23ª ‘Pio Borri’ attribuisce un peso considerevole al fatto che i tedeschi erano costretti a spostare le unità dalla linea del fronte per contrastare la minaccia partigiana. Scrive infatti che
Gli automezzi che debbono transitare per i passi dei Mandrioli, della Consuma, della Verna, della Calla, debbono sostare nei pressi di Bibbiena per proseguire poi in colonna scortata da autoblindo e carri armati. È questo un rilevante successo della Resistenza, che impegna a distoglie dal fronte rilevanti forze tedesche e che, nel contempo, influisce negativamente sul morale del nemico. (Sacconi R. p. 43)
Vasco Palazzeschi è arrivato addirittura a sostenere che non è che gli Alleati facessero molto per aiutare i partigiani impiegati a combattere i tedeschi, (Palazzeschi V. p. 41) indubbiamente riferendosi al fatto che le truppe britanniche e indiane si spinsero verso nord lungo la Valle del Casentino e la Valle dell’Arno, nella piena consapevolezza che c’erano ancora dei tedeschi sul Pratomagno, ma senza avere la minima intenzione di sradicarli.
Quanto alla effettiva competenza dei partigiani in qualità di militari, Antonio Pietra scrive che
Partigiani perlopiù giovani e senza esperienza di combattimento o di maneggio di armi, tendevano a sviluppare due tendenze; o sparavano con gran spreco di colpi o addirittura non sparavano. (Pietra A. in Biscarini p. 40)
Biscarini riassume la valutazione del ruolo militare dei partigiani come segue:
Da parte resistenziale, infatti, si è spesso sopravvalutato il ruolo militare delle formazioni, mentre dalla parte avversaria e non solo, si è giunti a sostenere con sempre più forza che fu praticamente nullo...Ovviamente la verità storica sta nel mezzo. (Biscarini C. p. 81)
Se fosse così - cioè se il contributo militare dei partigiani nella Provincia di Arezzo fosse stato utile perché i tedeschi furono costretti a spostare le truppe dalla Valle del Tevere per far fronte alle bande, ma non fu decisivo nell’accelerare l’avanzata alleata verso la Linea Gotica – quindi si dovrebbe trovare una risposta adeguata alla domanda che si pone: ossia se il contributo militare dei partigiani sia stato effettivamente tanto importante da giustificare più di un migliaio di vittime civili. L’unico risultato decisivo dei loro attacchi alle truppe tedesche sembrerebbe essere il massacro di civili innocenti.
Ovviamente questa è una constatazione alla luce del fatto; che all’epoca i tedeschi vedessero i partigiani come una minaccia crescente si evince dai loro Diari di Guerra e da altri documenti. Eugen Dollman, SS Oberstürmbannführer, riteneva che il Feldmarschall Kesselring stesse addirittura considerando l’ipotesi di venire a patti con le bande. Kesselring stesso ha scritto che dopo che le sue truppe avevano abbandonato Roma nel giugno del 1944 c’era stato un inasprimento della attività partigiana, cosa in parte inaspettata per lui, e da quel momento in poi la guerra partigiana divenne un pericolo reale per i tedeschi, per cui l’esigenza della loro eliminazione divenne un priorità massima.
Senza considerare l’uccisione di quegli individui che si erano opposti alle truppe tedesche intente a rubare i loro beni o stuprare le loro donne, i fatti sembrano dimostrare che quasi tutti gli altri massacri perpetrati dai tedeschi furono rappresaglie eseguite a seguito di attacchi partigiani ai loro convogli o alle loro truppe, anche se il numero di queste uccisioni spesso supera il rapporto di dieci a uno. Il fatto che questa proporzione fosse considerata un criterio guida approssimativo per stabilire quanti civili fosse possibile uccidere, si deduce da una dichiarazione emessa da Kesselring il 17 giugno, quando disse, "Proteggerò qualunque ufficiale che ecceda i limiti da noi comunemente stabiliti nella scelta e nella severità dei metodi adottati contro i partigiani." (Lamb R. p. 64)
Nel tentativo di sollevare i partigiani dalla responsabilità, molti autori hanno attribuito i massacri perpetrati dai nazi-fascisti alla tattica da loro esercitata di fare terra bruciata o alla intenzione degli stessi di ripulire tutta la zona della popolazione maschile trovata ad una determinata distanza dal fronte. Uno di questi, Ivo Biagianti, sostiene la tesi che i massacri fossero parte di un disegno generale.
Nella parte settentrionale della regione, a ridosso della Linea Gotica, i nazisti procedono a veri e propri rastrellamenti, deportazioni, massacri o stragi di massa, per fare terra pulita in una zona interessata dalle imponenti opere di fortificazioni. (Biagianti I. in Tognarini I. p 175)...Iniziano allora le stragi commesse da un esercito in fuga...per sbaglio, per rappresaglia, per terrorismo, per rabbia; ma fondamentalmente per una direttiva politica generale seguita dalle truppe tedesche nei paesi di occupazione, che consiste nella pratica dello sterminio, dopo cinque anni di guerra e oltre un decennio di esaltazione della superiorità della razza ariana, hanno fatto smarrire a soldati e ufficiali il valore della vita e della pace. (Ibidem p. 184)
Anche se la teoria dello sterminio spinto dalle idee politiche potrebbe essere ritenuta valida, la vicinanza alla Linea Gotica non può essere citata per quanto riguarda la Provincia di Arezzo, dato che la linea di difesa più vicina alla Provincia di Arezzo non fu la Linea Gotica (che si trova più a nord) ma la Linea Arno, che da Pisa seguiva l’Arno fino alla confluenza con il Sieve prima di attraversare la zone settentrionale del Pratomagno fra Consuma e Montemignaio. La spiegazione di Biagianti potrebbe essere ritenuta valida per l’eccidio di Partina ed anche un’aggravante per quello di Vallucciole, ma non è applicabile nei casi di Civitella, San Pancrazio e Castelnuovo dei Sabbioni/Meleto, dove morì la maggiore parte delle vittime. Biagianti evita di collegare direttamente le rappresaglie con le attività dei partigiani, benché nel paragrafo che segue fa riferimento ad entrambe:
In Provincia di Arezzo la lotta per la libertà è molto dura ed ha un costo umano eccezionalmente alto, soprattutto fra i civili vittime delle stragi...La ferocia delle stragi si scatena soprattutto nell'estate del '44 quando i nazi-fascisti si sentirono incalzati dal sopraggiungere degli eserciti alleati ed insicuri per la presenza di gruppi partigiani operanti anche in quelle stesse montagne dove si stava lavorando alla costruzione delle linee gotiche. (Ibidem p. 184)
Luigi Ganapini, uno dei pochi autori che individuano le attività partigiane come causa delle rappresaglie, in una sua recente valutazione scrive
Come abbiamo detto, l'importanza della lotta partigiana si rileva anche dalla frequenza con cui i tedeschi risposero con stragi brutali di civili. (Ganapini L. in Biscarini p. 42)
Ci sono le prove che gli atteggiamenti dei tedeschi verso la popolazione civile abbiano cominciato a cambiare quando l’attività partigiana si è intensificata. Il rapporto al Consiglio dei Ministri, consegnato dai Carabinieri, a cui si è già fatto riferimento altrove, afferma con la massima chiarezza che i tedeschi modificarono il loro comportamento come risultato degli attacchi partigiani.
Le truppe tedesche dislocate nella Provincia di Arezzo ed in transito per le rotabili della stessa, fino a tutto il mese di marzo, mantennero nei confronti della popolazione, e dei beni di questa, contegno abbastanza corretto. Fu invece, dai primi di aprile che le truppe medesime, in seguito all'uccisione o ferimento di militari tedeschi, alla scomparsa di materiali militari, ad atti di sabotaggio agli impianti telefonici e alle vie di comunicazione da parte dei patrioti, che presero ad infierire brutalmente con rappresaglie di ogni specie verso i civili innocenti abitanti nelle zone dove si erano verificati i fatti precedenti. (Carabinieri in Tognarini p. 418)
Martiri o vittime?
Nonostante che i Carabinieri spiegassero chiaramente il motivo dietro gli eccidi, nelle lapidi commemorative dei paesi coinvolti viene evitato accuratamente ogni collegamento tra l’azione partigiana e le rappresaglie, mentre si sottolinea quasi sempre la brutalità tedesca o nazi-fascista. La parola rappresaglia appare raramente. Sulla parete esterna del Palazzo Comunale a Loro Ciuffenna una lapide in memoria di cinquantasei delle settantuno persone che persero la loro vita nell’estate del 1944 riporta:
Il CLN e il Comune di Loro Ciuffenna l’anno 1945 posero in memoria dei martiri della barbarie nazi-fascista
(Va ricordato che secondo Rodolfo Chiosi non c'era un CLN a Loro Ciuffenna nel 1944)
Il CLN e il Comune di Loro Ciuffenna l’anno 1945 posero in memoria dei martiri della barbarie nazi-fascista
(Va ricordato che secondo Rodolfo Chiosi non c'era un CLN a Loro Ciuffenna nel 1944)
Loro Ciuffenna
In una lapide commemorativa sotto un albero a Piazza Garibaldi, sempre a Loro Ciuffenna, si legge la seguente dicitura
Impiccati a questa pianta il giorno 15 giugno 1944 morirono i concittadini Emilio Beccatini, Egone Frosinini, Pietro Piccioli, vittime dell’odio nazi-fascista
Impiccati a questa pianta il giorno 15 giugno 1944 morirono i concittadini Emilio Beccatini, Egone Frosinini, Pietro Piccioli, vittime dell’odio nazi-fascista
San Giustino Villa Grotta
In questo luogo il 3 luglio 1944 inermi e innocenti vittime civili di una guerra spietata per rappresaglia tedesca caddero Griselli Luigi, Chisa Paolo, Borri Argenide, Corduri Giuseppe, Barbagli Federico, Silvini Giuseppe. Gli ingegneri Fernando & Goffredo Griselli in memoria del padre e di coloro che furono fratelli nella morte posero questo ricordo
(Va notato che solo quattro dei nome dei caduti a Villa Grotta appaiono sul monumento comunale a Loro Ciuffenna - mancano Griselli e Chisa. )
(Va notato che solo quattro dei nome dei caduti a Villa Grotta appaiono sul monumento comunale a Loro Ciuffenna - mancano Griselli e Chisa. )
Civitella in Valdichiana
A Civitella in Valdichiana una grande lapide commemorativa vicino alla chiesa ricostruita parla di rappresaglie, mentre un’altra che segna il luogo del massacro riporta la seguente iscrizione
Qui il 29 Giugno 1944 nel tragico eccidio di questo paese fu uccisa con il loro arciprete la maggior parte delle innocenti vittime Ai gloriosi morti la preghiera e la memoria perenne
Qui il 29 Giugno 1944 nel tragico eccidio di questo paese fu uccisa con il loro arciprete la maggior parte delle innocenti vittime Ai gloriosi morti la preghiera e la memoria perenne
Falzano
A Falzano la lapide è molto semplice. Recita
In memoria delle vittime della barberie tedesca cadute il 27 giugno 1944
Mentre il termine ‘vittima’ implica che una persona sia stata uccisa perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, la parola ‘martire’ presuppone il sacrificio nella lotta per una causa. Don Enrico Biagini, il sacerdote titolare a Civitella nel dopoguerra, scrivendo nel 1981 dice che la gente di Civitella non voleva che i suoi morti fossero sfruttati da chicchessia per fini politici (Biagini E. p. 195) e sostiene che essi non furono eroi, bensì vittime innocenti e che come tali dovrebbero essere ricordate.
Nel caso dei tre uomini impiccati a Loro Ciuffenna il termine ‘martire’ usato nella stele commemorativa del Palazzo Comunale potrebbe essere ritenuto appropriato in quanto loro erano tutti e tre partigiani. Una descrizione più appropriata delle altre persone menzionate nel memoriale, che sono descritte tutte come ‘martiri’, sarebbe quella di ‘vittime’. A parte i partigiani impiccati in Comune a Loro Ciuffenna ed a Trappola e le dieci persone che persero la vita in conseguenza della caduta di bombe e granate, tutte le altre rimasero uccise a causa delle rappresaglie.
Benché subito dopo i massacri alcuni gruppi partigiani abbiano ammesso apertamente il collegamento fra attacchi e rappresaglie, come fa ad esempio Bruno Valli del 4° squadrone ‘Poggioni’ del distaccamento ‘Favalto’ quando dice, "Anche su richiesta della popolazione civile che teme maggiori rappresaglie i partigiani decidono di sciogliere per alcuni giorni il gruppo e nascondere le armi,"(Pancrazi P. pp. 39-40) per più di sessant’anni i partigiani ed i loro successori politici hanno continuato a negare che le une fossero la conseguenza delle altre.
Durante il convegno tenuto dai partigiani di Arezzo nel 1990 una relazione fu presentata in cui fu messo in evidenza che gli Alleati che arrivavano nelle comunità colpite non attribuivano alcun biasimo ai partigiani. Asserisce che
e stragi che gli inglesi si trovarono davanti agli occhi dovettero far comprendere tutta la tragicità del travaglio che scuoteva gli italiani...Significativo però sembra il fatto che su questa questione da parte degli Alleati non vennero proposte allora semplificazioni o interpretazioni tendenti ad addossare ai partigiani alcune responsabilità ne diretta ne indiretta, dei crimini consumati dai nazi-fascisti. Forse l'esperienza sugli altri quadranti della guerra e la conoscenza dei metodi tedeschi aveva fatto intuire quale fosse stata la dinamica dei fatti. (Sacconi ed. 1990)
Ciò contraddice palesemente i risultati del rapporto del 1946 della British War Crimes Section, Allied Force Headquarters che era giunta alla conclusione opposta:
Uno studio di tutti questi casi rivela che c’è una sorprendente similarità tra questi fatti. L’incidente invariabilmente si apre con l’uccisione o il ferimento di uno o più soldati tedeschi da parte dei partigiani; l’attività di rappresaglia è poi intrapresa o dalle truppe immediatamente dopo sul posto oppure, nei casi più seri, con l’arrivo di unità e formazioni specifiche appositamente organizzate allo scopo. ( Nazi Conspiracy and Aggression Volume VIII USGPO Washington 1946)
Visitando i paesi dove ebbero luogo i massacri e parlando con gli abitanti, è sorprendente come a distanza di più di mezzo secolo alcuni individui ancora non abbiano voglia di parlare. Questa riluttanza può essere spiegata dal fatto che in quelle comunità in cui la gente ha ritenuto giusto criticare i partigiani, ne è scaturito parecchio astio. Don Enrico Biagini sottolinea che da quando è avvenuto il massacro di Civitella ci sono state molte discussioni sull’attribuzione della responsabilità. I partigiani sono stati accusati di aver provocato la rappresaglia e di aver poi abbandonato il paese a se stesso a fronte del pericolo, mentre la gente del luogo specialmente le donne più colpite negli affetti sono state accusate di non aver compreso la Resistenza. (Biagini E. p. 183) Secondo Don Enrico, Civitella non ha mai messo in discussione la Resistenza in quanto tale, ma ciò che accadde a Civitella è stato messo in discussione da coloro che vi hanno perso i loro cari.
Questo tipo di obiezione all’operato dei partigiani era considerato una critica ai valori propugnati dalla Resistenza su cui fu fondata la Repubblica Italiana, tra cui c’erano ‘libertà’ e ‘democrazia’. Non era possibile esprimere un parere obiettivo di quello che era accaduto realmente senza essere accusati di avere simpatie fasciste, e purtroppo questo atteggiamento persiste ancora oggi. Considerate le ambizioni politiche dei partigiani, era vitale che la gente credesse che la loro Guerra di Resistenza fosse fondamentale per la liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo.
Tornando all’asserzione di Vasco Palazzeschi, secondo cui era la lotta politica che era importante per i partigiani, la gente doveva essere indotta ad accettare il loro punto di vista. Se il mezzo per poter ottenere la credibilità della quale avevano decisamente bisogno era quello di sferrare un attacco militare ai nazi-fascisti, se tale azione non era un fine ma un mezzo, allora i caduti civili potrebbero essere considerati parte del contesto politico generale, e le vittime potrebbero essere considerate come martiri di una giusta causa. Come ha dimostrato il processo sul massacro di Consuma, i tedeschi non facevano distinzione tra partigiani e civili, proprio come intendevano i partigiani stessi; non solo le morti dei civili potevano essere giustificate in nome della causa della libertà, ma servivano anche a dare dimostrazione concreta dei mali del nazismo e del fascismo, dai quali - grazie alla Resistenza - l’Italia era stata liberata. Benché egli non citi la sua fonte, lo scrittore americano Dan Kurzman arriva addirittura a sostenere che
fu deciso in una riunione nazionale dei leader comunisti guidata da Luigi Longo a Monchiero in Piemonte che la maniera più efficace per esaltare il potere e l’influenza dei partigiani sarebbe stata quella di incitare i tedeschi a fare delle rappresaglie contro la popolazione civile. (Kurzman D. p. 100)
Sembrerebbe pertanto che per molti anni non ci sia stato un tribunale morale al quale si potessero rivolgere le famiglie delle vittime. Sfortunatamente la verità è che la maggior parte delle vittime fu colpita dalla guerra in generale e dalla lotta politica in particolare senza aver dato affatto il proprio consenso né all’una né all’altra. Le comunità di montagna, costrette a dar da mangiare e offrire rifugio ai gruppi partigiani, vivevano nel costante terrore delle rappresaglie, proprio nel momento in cui essi stessi dovevano fare i conti con l’avvicinamento del fronte. Eppure lo storico Renzo De Felice cita dei dati per dimostrare che nell’ottobre del 1944 c’erano solo circa 945.000 persone - tra partigiani, civili, patrioti, soldati repubblichini e uomini utilizzati nei lavori dalla Todt - che fossero attivamente coinvolti nella ‘guerra civile’ se fece seguito all’8 settembre del 1943, e perciò asserisce che
Una maggioranza della popolazione rimasta per molto tempo estranea al conflitto civile...Non si tratta di un atteggiamento ideologico, in quanto un generico senso di estraneità, se non un rifiuto vero e proprio, avrebbe riguardato la Resistenza non meno della Repubblica Sociale; chiaro segno di come il pur avvenuto distacco dal fascismo e l'avversione per i nazisti non avessero automaticamente trasformato la maggioranza degli italiani in altrettanti partigiani. (De Felice R. pp. 122-4)
Per di più, ad approfondire la disperazione di coloro i cui cari erano rimasti vittime dei massacri, si aggiunge il fatto che i resoconti delle testimonianze oculari che i parenti avevano consegnato ai servizi segreti britannici erano rimasti chiusi nel cosiddetto Armadio della Vergogna, un archivio del Tribunale Militare di Roma, per tornare alla luce non prima del 1994. Queste testimonianze avrebbero dovuto servire come prove nei processi in cui dovevano essere processati i nazisti responsabili dei massacri.
Il quotidiano italiano Corriere della Sera il 18 maggio 1999 ha pubblicato un articolo che conteneva il seguente commento
L' intenzione degli Alleati era di dividere questi processi fra i tribunali di competenza e le corti internazionali…sono stati trovati documenti in inglese e tedesco neppure tradotti. Inoltre, i fascicoli non sono stati più smistati alle Procure di competenza, cui spettava l' esercizio dell' azione penale. (Messina D. Corriere della Sera 18 maggio 1999 p. 35)
Filippo Focardi ha scritto un saggio in cui prende in considerazione le motivazioni che soggiacciono all’occultamento della documentazione, in cui fa riferimento a dei cambiamenti nelle leggi di estradizione e alle nuove alleanze politiche che si sono realizzate nell’Europa del dopoguerra a partire dal 1947. Una commissione costituita per esaminare la materia ha riferito sui propri risultati nel 2006, giungendo alla conclusione che non ci sarebbero stati motivi politici da parte dei vari governi democristiani nell’archiviare volutamente tali documenti, quanto piuttosto il desiderio da parte loro di lasciarsi alle spalle i segni della guerra. Inoltre ci sarebbero stati motivi di natura giuridica e pratica che avrebbero reso difficile lo svolgimento dei processi. Sembra strano che dopo la nascita della repubblica italiana fondata sulla democrazia e sui valori della Resistenza, ci sia stata tanta riluttanza nel rinviare a giudizio i nazisti responsabili dei massacri, mentre invece i fascisti implicati nei massacri, alcuni dei quali condannati a morte e giustiziati, erano stati processati in base a leggi nazionali. (Focardi F. 2004-8)
Pare che un risultato positivo della scoperta dei dossiers occultati sia stato all’origine dell’istituzione di un Tribunale per i Crimini di Guerra a La Spezia nel giugno del 2004, ma ancora una volta è stato posto l’accento sulla condanna degli esecutori materiali dei massacri piuttosto che su una indagine esauriente delle loro cause, per cui a parte i nomi dei presunti colpevoli, non è affatto chiaro quale peso sia stato attribuito alle testimonianze delle famiglie delle vittime nel tentare di stabilire i motivi delle stragi. Al momento dell’apertura del tribunale la Regione Toscana lanciò un appello sul suo sito web Progetto Memoria - Le Stragi in Toscana:
Azioni giudiziali sono state intraprese contro i colpevoli. Ma più che una corte di giustizia è la ricerca storica che deve fare piena luce sulle vicende per consentire, con la ricostruzione della verità dei fatti, una giusta elaborazione del lutto che risani le ferite ancora aperte. (Regione Toscana Progetto Memoria www.regione toscana.it)
Un esempio di uno dei processi a cui si riferisce il sito è quello per il massacro di Falzano tenuto nel 2006 in cui due anziani tedeschi, l’ottantenne maggiore Herbert Stommel del Hochegebirgs-Pioneer-Bataillon 818 e il suo sottoposto Josef Scheungraber, sono stati condannati all’ergastolo per aver partecipato all’eccidio. La pena prevedeva anche il risarcimento danni al Comune di Cortona, alla Provincia di Arezzo e alla Regione Toscana per un ammontare di 30.000,00 euro, più 50.000,00 euro alle famiglie delle vittime.
Sempre in riferimento a Falzano, nel sito web dell’ANPI si legge la seguente risposta all’appello toscano per una ricostruzione storicamente affidabile degli eventi:
La strage avvenne in due giorni, nell'ambito di una rappresaglia contro i partigiani che avevano aperto il fuoco sui tedeschi, uccidendo due dei tre nazisti che stavano sequestrando merci a un fattore. (www.anpi.it)
Questa presa di posizione dell’ANPI, a lungo auspicata dai parenti delle vittime, sembrava finalmente mostrare la disponibilità da parte dei partigiani ad accettare pubblicamente, attraverso la loro associazione, il ruolo avuto nell’accaduto. Però in un’altra sezione del sito stesso, un articolo dello storico militare Claudio Biscarini avanza la teoria secondo cui non sarebbero state le azioni dei partigiani a provocare le rappresaglie bensì la loro stessa presenza in loco, però tale asserzione sembrerebbe essere la constatazione dei fatti relativi solo ai massacri di Partina e Cetica. Egli suggerisce che
Uno degli aspetti più controversi della vicenda stragistica, riguarda la memoria che se ne è conservata tra i superstiti e le popolazioni che ne furono vittime. E’ stata chiamata, giustamente, la ‘memoria divisa’, in quanto la responsabilità delle uccisioni viene ‘divisa’ tra tedeschi, autori materiali dei massacri, e partigiani, accusati da molti di essere la causa, con i loro assalti, degli episodi accaduti. Noi non crediamo che questa versione dei fatti sia quella giusta. Sicuramente, molte stragi non ebbero bisogno, per essere commesse, di grandi azioni partigiane. Spesso bastò la sospetta presenza di bande di combattenti alla macchia, per iniziare un processo irrevocabile. (www.anpi.it)
Nonostante sia finalmente accettabile affermare che c’era un collegamento tra i partigiani ed i massacri c’è solo un’ammissione di responsabilità collettiva, e tranne nel caso di Falzano c’è una riluttanza ad esaminare i fatti dietro ciascun eccidio perché tale attività potrebbe mettere in discussione la Resistenza stessa. Siccome ancora deve essere ammesso su larga scala che in termini militari i partigiani non erano in grado di liberare il paese - anche se in termini ideologici sono riusciti a convincere abbastanza gente che fosse così - è chiaro che non è ancora arrivato il momento politicamente opportuno per indagare senza retorica ciascuna rappresaglia.
I politici che hanno fatta propria l’eredità dell’antifascismo non osano correre il rischio di consentire una rivalutazione della Resistenza in tutte le sue manifestazioni per quello che li riguarda, in quanto custodi della memoria collettiva ‘politicamente corretta’. Devono evitare a tutti i costi l’accusa di voler riscrivere i libri di storia, che viene giudicato un crimine piuttosto che parte fondamentale di una valutazione storica, non solo dai gruppi politici italiani di centro-sinistra ma anche dalla stampa estera. In un articolo apparso sul giornale britannico The Guardian poco dopo la vittoria del centro-destra alle elezioni politiche dell’aprile 2008, Tobias Jones scrive di Berlusconi
Infaustamente uno degli argomenti preferiti dei suoi politici è la revisione di certi libri di storia e dei programmi scolastici. (Jones T. The Guardian 2 maggio 2008)
E’ assolutamente indispensabile che i libri di storia vengano riscritti al fine di portare alla luce quei fatti che sono stati espressamente occultati o ridimensionati, dato che è improbabile che possano emergere nelle occasioni in cui i politici di centro-sinistra (che al solito vincono le elezioni nelle comunità in cui i massacri hanno avuto luogo) commemorano le ricorrenze. Un comunicato stampa altamente rivelatore, rilasciato dopo il processo di Falzano, si trova sul sito del Comune di Cortona.
Ancora oggi questa, come altre stragi, penso a S. Caterina, ci feriscono e ci fanno riflettere sulla ferocia ed assurdità della guerra. Dei tredici cortonesi fatti saltare dentro un casolare diroccato, nessuno era militare, nessuno aveva partecipato ad azioni di guerra, una dimostrazione ancora più evidente come a pagare siano sempre i più deboli. (www.comunedicortona.it Comunicato stampa di Andrea Vignini, sindaco di Cortona, 14 /02/2006)
Il sindaco, invece di spiegare gli antefatti di Falzano, oramai diffusi sul sito dell’ANPI oltre ad essere consultabili sul libro di Pancrazi dal 1946 in poi, si limita a parlare delle vittime. Ironia della sorte è che proprio a Falzano i partigiani del ‘Poggioni’ avevano temporaneamente sospeso le loro azioni e avevano registrato il motivo nel loro diario. Per quanto riguarda la rappresaglia di Santa Caterina, la documentazione dei carabinieri spiega chiaramente che avvenne dopo l'uccisione di un soldato tedesco da parte dei partigiani.
Ho cercato di rispondere all’appello della Regione Toscana, presentando un resoconto imparziale e ragionato di quanto accaduto e delle sue cause, ma la conclusione è che di fronte ai fatti realmente accaduti, le emozioni personali e le tendenze politiche continueranno a fare in modo che i risultati appurati restino inaccettabili per molte persone. E’ sempre stato nell’interesse degli eredi politici dei partigiani lasciare il dibattito lettera morta, e mantenere viva invece la convinzione che la Resistenza rappresenti i più alti ideali a cui in una democrazia si possa aspirare, e perciò sia al di là di ogni critica. Se questa presa di posizione dovesse continuare, impedirà qualunque tipo di riconciliazione tra quei politici e storici che si sentono in dovere di difendere la Resistenza a tutti i costi da una parte, e dall’altra le famiglie delle vittime che non hanno ricevuto il dovuto ascolto quando hanno cercato di esporre le proprie storie.
In memoria delle vittime della barberie tedesca cadute il 27 giugno 1944
Mentre il termine ‘vittima’ implica che una persona sia stata uccisa perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, la parola ‘martire’ presuppone il sacrificio nella lotta per una causa. Don Enrico Biagini, il sacerdote titolare a Civitella nel dopoguerra, scrivendo nel 1981 dice che la gente di Civitella non voleva che i suoi morti fossero sfruttati da chicchessia per fini politici (Biagini E. p. 195) e sostiene che essi non furono eroi, bensì vittime innocenti e che come tali dovrebbero essere ricordate.
Nel caso dei tre uomini impiccati a Loro Ciuffenna il termine ‘martire’ usato nella stele commemorativa del Palazzo Comunale potrebbe essere ritenuto appropriato in quanto loro erano tutti e tre partigiani. Una descrizione più appropriata delle altre persone menzionate nel memoriale, che sono descritte tutte come ‘martiri’, sarebbe quella di ‘vittime’. A parte i partigiani impiccati in Comune a Loro Ciuffenna ed a Trappola e le dieci persone che persero la vita in conseguenza della caduta di bombe e granate, tutte le altre rimasero uccise a causa delle rappresaglie.
Benché subito dopo i massacri alcuni gruppi partigiani abbiano ammesso apertamente il collegamento fra attacchi e rappresaglie, come fa ad esempio Bruno Valli del 4° squadrone ‘Poggioni’ del distaccamento ‘Favalto’ quando dice, "Anche su richiesta della popolazione civile che teme maggiori rappresaglie i partigiani decidono di sciogliere per alcuni giorni il gruppo e nascondere le armi,"(Pancrazi P. pp. 39-40) per più di sessant’anni i partigiani ed i loro successori politici hanno continuato a negare che le une fossero la conseguenza delle altre.
Durante il convegno tenuto dai partigiani di Arezzo nel 1990 una relazione fu presentata in cui fu messo in evidenza che gli Alleati che arrivavano nelle comunità colpite non attribuivano alcun biasimo ai partigiani. Asserisce che
e stragi che gli inglesi si trovarono davanti agli occhi dovettero far comprendere tutta la tragicità del travaglio che scuoteva gli italiani...Significativo però sembra il fatto che su questa questione da parte degli Alleati non vennero proposte allora semplificazioni o interpretazioni tendenti ad addossare ai partigiani alcune responsabilità ne diretta ne indiretta, dei crimini consumati dai nazi-fascisti. Forse l'esperienza sugli altri quadranti della guerra e la conoscenza dei metodi tedeschi aveva fatto intuire quale fosse stata la dinamica dei fatti. (Sacconi ed. 1990)
Ciò contraddice palesemente i risultati del rapporto del 1946 della British War Crimes Section, Allied Force Headquarters che era giunta alla conclusione opposta:
Uno studio di tutti questi casi rivela che c’è una sorprendente similarità tra questi fatti. L’incidente invariabilmente si apre con l’uccisione o il ferimento di uno o più soldati tedeschi da parte dei partigiani; l’attività di rappresaglia è poi intrapresa o dalle truppe immediatamente dopo sul posto oppure, nei casi più seri, con l’arrivo di unità e formazioni specifiche appositamente organizzate allo scopo. ( Nazi Conspiracy and Aggression Volume VIII USGPO Washington 1946)
Visitando i paesi dove ebbero luogo i massacri e parlando con gli abitanti, è sorprendente come a distanza di più di mezzo secolo alcuni individui ancora non abbiano voglia di parlare. Questa riluttanza può essere spiegata dal fatto che in quelle comunità in cui la gente ha ritenuto giusto criticare i partigiani, ne è scaturito parecchio astio. Don Enrico Biagini sottolinea che da quando è avvenuto il massacro di Civitella ci sono state molte discussioni sull’attribuzione della responsabilità. I partigiani sono stati accusati di aver provocato la rappresaglia e di aver poi abbandonato il paese a se stesso a fronte del pericolo, mentre la gente del luogo specialmente le donne più colpite negli affetti sono state accusate di non aver compreso la Resistenza. (Biagini E. p. 183) Secondo Don Enrico, Civitella non ha mai messo in discussione la Resistenza in quanto tale, ma ciò che accadde a Civitella è stato messo in discussione da coloro che vi hanno perso i loro cari.
Questo tipo di obiezione all’operato dei partigiani era considerato una critica ai valori propugnati dalla Resistenza su cui fu fondata la Repubblica Italiana, tra cui c’erano ‘libertà’ e ‘democrazia’. Non era possibile esprimere un parere obiettivo di quello che era accaduto realmente senza essere accusati di avere simpatie fasciste, e purtroppo questo atteggiamento persiste ancora oggi. Considerate le ambizioni politiche dei partigiani, era vitale che la gente credesse che la loro Guerra di Resistenza fosse fondamentale per la liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo.
Tornando all’asserzione di Vasco Palazzeschi, secondo cui era la lotta politica che era importante per i partigiani, la gente doveva essere indotta ad accettare il loro punto di vista. Se il mezzo per poter ottenere la credibilità della quale avevano decisamente bisogno era quello di sferrare un attacco militare ai nazi-fascisti, se tale azione non era un fine ma un mezzo, allora i caduti civili potrebbero essere considerati parte del contesto politico generale, e le vittime potrebbero essere considerate come martiri di una giusta causa. Come ha dimostrato il processo sul massacro di Consuma, i tedeschi non facevano distinzione tra partigiani e civili, proprio come intendevano i partigiani stessi; non solo le morti dei civili potevano essere giustificate in nome della causa della libertà, ma servivano anche a dare dimostrazione concreta dei mali del nazismo e del fascismo, dai quali - grazie alla Resistenza - l’Italia era stata liberata. Benché egli non citi la sua fonte, lo scrittore americano Dan Kurzman arriva addirittura a sostenere che
fu deciso in una riunione nazionale dei leader comunisti guidata da Luigi Longo a Monchiero in Piemonte che la maniera più efficace per esaltare il potere e l’influenza dei partigiani sarebbe stata quella di incitare i tedeschi a fare delle rappresaglie contro la popolazione civile. (Kurzman D. p. 100)
Sembrerebbe pertanto che per molti anni non ci sia stato un tribunale morale al quale si potessero rivolgere le famiglie delle vittime. Sfortunatamente la verità è che la maggior parte delle vittime fu colpita dalla guerra in generale e dalla lotta politica in particolare senza aver dato affatto il proprio consenso né all’una né all’altra. Le comunità di montagna, costrette a dar da mangiare e offrire rifugio ai gruppi partigiani, vivevano nel costante terrore delle rappresaglie, proprio nel momento in cui essi stessi dovevano fare i conti con l’avvicinamento del fronte. Eppure lo storico Renzo De Felice cita dei dati per dimostrare che nell’ottobre del 1944 c’erano solo circa 945.000 persone - tra partigiani, civili, patrioti, soldati repubblichini e uomini utilizzati nei lavori dalla Todt - che fossero attivamente coinvolti nella ‘guerra civile’ se fece seguito all’8 settembre del 1943, e perciò asserisce che
Una maggioranza della popolazione rimasta per molto tempo estranea al conflitto civile...Non si tratta di un atteggiamento ideologico, in quanto un generico senso di estraneità, se non un rifiuto vero e proprio, avrebbe riguardato la Resistenza non meno della Repubblica Sociale; chiaro segno di come il pur avvenuto distacco dal fascismo e l'avversione per i nazisti non avessero automaticamente trasformato la maggioranza degli italiani in altrettanti partigiani. (De Felice R. pp. 122-4)
Per di più, ad approfondire la disperazione di coloro i cui cari erano rimasti vittime dei massacri, si aggiunge il fatto che i resoconti delle testimonianze oculari che i parenti avevano consegnato ai servizi segreti britannici erano rimasti chiusi nel cosiddetto Armadio della Vergogna, un archivio del Tribunale Militare di Roma, per tornare alla luce non prima del 1994. Queste testimonianze avrebbero dovuto servire come prove nei processi in cui dovevano essere processati i nazisti responsabili dei massacri.
Il quotidiano italiano Corriere della Sera il 18 maggio 1999 ha pubblicato un articolo che conteneva il seguente commento
L' intenzione degli Alleati era di dividere questi processi fra i tribunali di competenza e le corti internazionali…sono stati trovati documenti in inglese e tedesco neppure tradotti. Inoltre, i fascicoli non sono stati più smistati alle Procure di competenza, cui spettava l' esercizio dell' azione penale. (Messina D. Corriere della Sera 18 maggio 1999 p. 35)
Filippo Focardi ha scritto un saggio in cui prende in considerazione le motivazioni che soggiacciono all’occultamento della documentazione, in cui fa riferimento a dei cambiamenti nelle leggi di estradizione e alle nuove alleanze politiche che si sono realizzate nell’Europa del dopoguerra a partire dal 1947. Una commissione costituita per esaminare la materia ha riferito sui propri risultati nel 2006, giungendo alla conclusione che non ci sarebbero stati motivi politici da parte dei vari governi democristiani nell’archiviare volutamente tali documenti, quanto piuttosto il desiderio da parte loro di lasciarsi alle spalle i segni della guerra. Inoltre ci sarebbero stati motivi di natura giuridica e pratica che avrebbero reso difficile lo svolgimento dei processi. Sembra strano che dopo la nascita della repubblica italiana fondata sulla democrazia e sui valori della Resistenza, ci sia stata tanta riluttanza nel rinviare a giudizio i nazisti responsabili dei massacri, mentre invece i fascisti implicati nei massacri, alcuni dei quali condannati a morte e giustiziati, erano stati processati in base a leggi nazionali. (Focardi F. 2004-8)
Pare che un risultato positivo della scoperta dei dossiers occultati sia stato all’origine dell’istituzione di un Tribunale per i Crimini di Guerra a La Spezia nel giugno del 2004, ma ancora una volta è stato posto l’accento sulla condanna degli esecutori materiali dei massacri piuttosto che su una indagine esauriente delle loro cause, per cui a parte i nomi dei presunti colpevoli, non è affatto chiaro quale peso sia stato attribuito alle testimonianze delle famiglie delle vittime nel tentare di stabilire i motivi delle stragi. Al momento dell’apertura del tribunale la Regione Toscana lanciò un appello sul suo sito web Progetto Memoria - Le Stragi in Toscana:
Azioni giudiziali sono state intraprese contro i colpevoli. Ma più che una corte di giustizia è la ricerca storica che deve fare piena luce sulle vicende per consentire, con la ricostruzione della verità dei fatti, una giusta elaborazione del lutto che risani le ferite ancora aperte. (Regione Toscana Progetto Memoria www.regione toscana.it)
Un esempio di uno dei processi a cui si riferisce il sito è quello per il massacro di Falzano tenuto nel 2006 in cui due anziani tedeschi, l’ottantenne maggiore Herbert Stommel del Hochegebirgs-Pioneer-Bataillon 818 e il suo sottoposto Josef Scheungraber, sono stati condannati all’ergastolo per aver partecipato all’eccidio. La pena prevedeva anche il risarcimento danni al Comune di Cortona, alla Provincia di Arezzo e alla Regione Toscana per un ammontare di 30.000,00 euro, più 50.000,00 euro alle famiglie delle vittime.
Sempre in riferimento a Falzano, nel sito web dell’ANPI si legge la seguente risposta all’appello toscano per una ricostruzione storicamente affidabile degli eventi:
La strage avvenne in due giorni, nell'ambito di una rappresaglia contro i partigiani che avevano aperto il fuoco sui tedeschi, uccidendo due dei tre nazisti che stavano sequestrando merci a un fattore. (www.anpi.it)
Questa presa di posizione dell’ANPI, a lungo auspicata dai parenti delle vittime, sembrava finalmente mostrare la disponibilità da parte dei partigiani ad accettare pubblicamente, attraverso la loro associazione, il ruolo avuto nell’accaduto. Però in un’altra sezione del sito stesso, un articolo dello storico militare Claudio Biscarini avanza la teoria secondo cui non sarebbero state le azioni dei partigiani a provocare le rappresaglie bensì la loro stessa presenza in loco, però tale asserzione sembrerebbe essere la constatazione dei fatti relativi solo ai massacri di Partina e Cetica. Egli suggerisce che
Uno degli aspetti più controversi della vicenda stragistica, riguarda la memoria che se ne è conservata tra i superstiti e le popolazioni che ne furono vittime. E’ stata chiamata, giustamente, la ‘memoria divisa’, in quanto la responsabilità delle uccisioni viene ‘divisa’ tra tedeschi, autori materiali dei massacri, e partigiani, accusati da molti di essere la causa, con i loro assalti, degli episodi accaduti. Noi non crediamo che questa versione dei fatti sia quella giusta. Sicuramente, molte stragi non ebbero bisogno, per essere commesse, di grandi azioni partigiane. Spesso bastò la sospetta presenza di bande di combattenti alla macchia, per iniziare un processo irrevocabile. (www.anpi.it)
Nonostante sia finalmente accettabile affermare che c’era un collegamento tra i partigiani ed i massacri c’è solo un’ammissione di responsabilità collettiva, e tranne nel caso di Falzano c’è una riluttanza ad esaminare i fatti dietro ciascun eccidio perché tale attività potrebbe mettere in discussione la Resistenza stessa. Siccome ancora deve essere ammesso su larga scala che in termini militari i partigiani non erano in grado di liberare il paese - anche se in termini ideologici sono riusciti a convincere abbastanza gente che fosse così - è chiaro che non è ancora arrivato il momento politicamente opportuno per indagare senza retorica ciascuna rappresaglia.
I politici che hanno fatta propria l’eredità dell’antifascismo non osano correre il rischio di consentire una rivalutazione della Resistenza in tutte le sue manifestazioni per quello che li riguarda, in quanto custodi della memoria collettiva ‘politicamente corretta’. Devono evitare a tutti i costi l’accusa di voler riscrivere i libri di storia, che viene giudicato un crimine piuttosto che parte fondamentale di una valutazione storica, non solo dai gruppi politici italiani di centro-sinistra ma anche dalla stampa estera. In un articolo apparso sul giornale britannico The Guardian poco dopo la vittoria del centro-destra alle elezioni politiche dell’aprile 2008, Tobias Jones scrive di Berlusconi
Infaustamente uno degli argomenti preferiti dei suoi politici è la revisione di certi libri di storia e dei programmi scolastici. (Jones T. The Guardian 2 maggio 2008)
E’ assolutamente indispensabile che i libri di storia vengano riscritti al fine di portare alla luce quei fatti che sono stati espressamente occultati o ridimensionati, dato che è improbabile che possano emergere nelle occasioni in cui i politici di centro-sinistra (che al solito vincono le elezioni nelle comunità in cui i massacri hanno avuto luogo) commemorano le ricorrenze. Un comunicato stampa altamente rivelatore, rilasciato dopo il processo di Falzano, si trova sul sito del Comune di Cortona.
Ancora oggi questa, come altre stragi, penso a S. Caterina, ci feriscono e ci fanno riflettere sulla ferocia ed assurdità della guerra. Dei tredici cortonesi fatti saltare dentro un casolare diroccato, nessuno era militare, nessuno aveva partecipato ad azioni di guerra, una dimostrazione ancora più evidente come a pagare siano sempre i più deboli. (www.comunedicortona.it Comunicato stampa di Andrea Vignini, sindaco di Cortona, 14 /02/2006)
Il sindaco, invece di spiegare gli antefatti di Falzano, oramai diffusi sul sito dell’ANPI oltre ad essere consultabili sul libro di Pancrazi dal 1946 in poi, si limita a parlare delle vittime. Ironia della sorte è che proprio a Falzano i partigiani del ‘Poggioni’ avevano temporaneamente sospeso le loro azioni e avevano registrato il motivo nel loro diario. Per quanto riguarda la rappresaglia di Santa Caterina, la documentazione dei carabinieri spiega chiaramente che avvenne dopo l'uccisione di un soldato tedesco da parte dei partigiani.
Ho cercato di rispondere all’appello della Regione Toscana, presentando un resoconto imparziale e ragionato di quanto accaduto e delle sue cause, ma la conclusione è che di fronte ai fatti realmente accaduti, le emozioni personali e le tendenze politiche continueranno a fare in modo che i risultati appurati restino inaccettabili per molte persone. E’ sempre stato nell’interesse degli eredi politici dei partigiani lasciare il dibattito lettera morta, e mantenere viva invece la convinzione che la Resistenza rappresenti i più alti ideali a cui in una democrazia si possa aspirare, e perciò sia al di là di ogni critica. Se questa presa di posizione dovesse continuare, impedirà qualunque tipo di riconciliazione tra quei politici e storici che si sentono in dovere di difendere la Resistenza a tutti i costi da una parte, e dall’altra le famiglie delle vittime che non hanno ricevuto il dovuto ascolto quando hanno cercato di esporre le proprie storie.