Sui pendii occidentali del Pratomagno
L’imponente masso del Pratomagno, sulle cui pendici sud-occidentali si trovano le tre cittadine di Loro Ciuffenna, San Giustino e Castiglion Fibocchi, domina il versante orientale della Valle dell’Arno da Arezzo a Firenze. Con l’altitudine di 1591 metri che raggiunge, questo è sempre stato un territorio difficile per i suoi abitanti, i quali nel passato erano costretti a migrare verso la Maremma durante l’inverno alla ricerca di pascoli per le loro greggi. Le pendici superiori sono nude e rocciose, e da qui scendono rapidi i ruscelli di montagna come il Ciuffenna per riversarsi nella Valle dell’Arno in una serie di cascate, mentre dai pascoli d’altura si passa ai boschi di betulle e conifere. Lungo il medio pendio si trovano i villaggi di Rocca Ricciarda e Anciolina, circondati da boschi di castagni che hanno costituito la loro principale fonte di reddito fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Ebbene, questi due abitati si ritrovarono al centro degli scontri tra i partigiani e le truppe tedesche nel luglio del 1944. Lungo le pendici inferiori passa l’antica strada di Setteponti che risale all’epoca degli etruschi, quando era stata costruita per collegare le due città di Fiesole ed Arezzo; fu lungo questa strada, l’unica che corre lungo la riva orientale dell’Arno, che i partigiani sferrarono molti dei loro attacchi alla 305 Infanterie-Division del 51 Gebirgskorps, e la 334 Infanterie-Division e la 15 Panzergrenadier-Division del 76 Panzerkorps. Altri attacchi alle truppe tedesche furono realizzati mentre essi attraversavano il passo montano di Pian di Sco’ tra Loro Ciuffenna e Reggello. Dopo la caduta di Arezzo la 10 Armee (AOK) e il 76 Panzerkorps avevano i loro comandi al monastero di Vallombrosa sul versante nord-occidentale della montagna.
Per la sua dimensione, le caratteristiche geografiche e la difficile accessibilità, durante la Guerra di Liberazione il Pratomagno fu uno dei teatri principali della guerriglia nell’Italia centrale. Dalle parti di Vallombrosa operavano i partigiani della ‘Perseo’ mentre nel Comune di Loro Ciuffenna operavano la ‘Lanciotto’, il ‘Licio Nencetti’, il ‘Valentini’, il ‘Bigi’, la ‘Droandi’, l’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ e la ‘Mameli’. Dopo il 14 giugno c’era anche una pattuglia di paracadutisti appartenente al Long Range Desert Group, il precursore britannico delle SAS.
Le brigate ‘Mameli’ vengono descritte da diverse fonti come repubblicane o anche di ispirazione cattolica. La Brigata ‘Mameli’ attiva nella Provincia di Arezzo sotto la guida del suo fondatore Rodolfo Chiosi fu organizzata nell’autunno del 1943. Nel suo momento di maggior espansione era formata da quattro compagnie per un totale di centodiciassette uomini. La ‘Mameli’ è stato l’unico gruppo partigiano della Provincia di Arezzo ad aver destituito un’autorità locale. Assunse il potere di governo sulla zona del Comune di Loro Ciuffenna due mesi prima dell’arrivo delle truppe alleate. Rodolfo Chiosi, che scriveva sotto lo pseudonimo di Hidrio Foscolo, giustifica questa impresa in base al fatto che a differenza di altre aree, come la città di Arezzo, a Loro Ciuffenna non era stato insediato nessun CLN, mentre la gestione locale era affidata a quello che egli descrive come un comitato clandestino di persone notoriamente fasciste e impegnate con la Repubblica Sociale. (Foscolo p. 17)
Nel giugno del 1944 egli sciolse questo comitato e invitò i suoi membri a ritirarsi dalla vita pubblica, ma fu organizzato al suo posto un nuovo comitato, composto di sessanta persone, che non erano di suo gradimento. Questo gli offrì la scusa per imporre il controllo partigiano sul paese, perché secondo lui il tempo era troppo scarso per potersi concedere il lusso di ascoltare per ogni problema la sessantesima opinione. (Foscolo p. 17) Selezionò un comitato di cinque persone che lo affiancassero, tra cui c’erano il prete Don Dario Stocchi e il sindaco Marino Brogi. Commentando le modalità in cui i partigiani avevano preso il potere senza neanche essere stati eletti, Chiosi scrive
II comandante...assunse egli stesso i poteri civili di Loro Ciuffenna. Nessuno, è vero, glieli dette; se li prese; ma dall’altra parte, quello non era il tempo di correre alle urne; comunque ebbe cura di restituirli il giorno stesso della liberazione del paese. (Foscolo p. 17)
Quanto alle spese di bilancio del comune, in cima alla lista c’era il finanziamento dei patrioti.
Sul fronte militare, il 19 giugno vicino Poggilazzi una pattuglia di sei patrioti della ‘Mameli’ assalì tredici soldati tedeschi, uno dei quali fu catturato e portato al comando. Il 27 giugno il distaccamento ‘Valentini’ della 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’ attaccò un convoglio tedesco sulla strada tra Loro Ciuffenna e Terranuova; la schermaglia si risolse con la morte di un partigiano e il ferimento di un altro. Il 29 il ‘Valentini’ entrò in azione al fianco della ‘Droandi’ e insieme riuscirono a impegnare e respingere un’unità tedesca.
Per la sua dimensione, le caratteristiche geografiche e la difficile accessibilità, durante la Guerra di Liberazione il Pratomagno fu uno dei teatri principali della guerriglia nell’Italia centrale. Dalle parti di Vallombrosa operavano i partigiani della ‘Perseo’ mentre nel Comune di Loro Ciuffenna operavano la ‘Lanciotto’, il ‘Licio Nencetti’, il ‘Valentini’, il ‘Bigi’, la ‘Droandi’, l’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ e la ‘Mameli’. Dopo il 14 giugno c’era anche una pattuglia di paracadutisti appartenente al Long Range Desert Group, il precursore britannico delle SAS.
Le brigate ‘Mameli’ vengono descritte da diverse fonti come repubblicane o anche di ispirazione cattolica. La Brigata ‘Mameli’ attiva nella Provincia di Arezzo sotto la guida del suo fondatore Rodolfo Chiosi fu organizzata nell’autunno del 1943. Nel suo momento di maggior espansione era formata da quattro compagnie per un totale di centodiciassette uomini. La ‘Mameli’ è stato l’unico gruppo partigiano della Provincia di Arezzo ad aver destituito un’autorità locale. Assunse il potere di governo sulla zona del Comune di Loro Ciuffenna due mesi prima dell’arrivo delle truppe alleate. Rodolfo Chiosi, che scriveva sotto lo pseudonimo di Hidrio Foscolo, giustifica questa impresa in base al fatto che a differenza di altre aree, come la città di Arezzo, a Loro Ciuffenna non era stato insediato nessun CLN, mentre la gestione locale era affidata a quello che egli descrive come un comitato clandestino di persone notoriamente fasciste e impegnate con la Repubblica Sociale. (Foscolo p. 17)
Nel giugno del 1944 egli sciolse questo comitato e invitò i suoi membri a ritirarsi dalla vita pubblica, ma fu organizzato al suo posto un nuovo comitato, composto di sessanta persone, che non erano di suo gradimento. Questo gli offrì la scusa per imporre il controllo partigiano sul paese, perché secondo lui il tempo era troppo scarso per potersi concedere il lusso di ascoltare per ogni problema la sessantesima opinione. (Foscolo p. 17) Selezionò un comitato di cinque persone che lo affiancassero, tra cui c’erano il prete Don Dario Stocchi e il sindaco Marino Brogi. Commentando le modalità in cui i partigiani avevano preso il potere senza neanche essere stati eletti, Chiosi scrive
II comandante...assunse egli stesso i poteri civili di Loro Ciuffenna. Nessuno, è vero, glieli dette; se li prese; ma dall’altra parte, quello non era il tempo di correre alle urne; comunque ebbe cura di restituirli il giorno stesso della liberazione del paese. (Foscolo p. 17)
Quanto alle spese di bilancio del comune, in cima alla lista c’era il finanziamento dei patrioti.
Sul fronte militare, il 19 giugno vicino Poggilazzi una pattuglia di sei patrioti della ‘Mameli’ assalì tredici soldati tedeschi, uno dei quali fu catturato e portato al comando. Il 27 giugno il distaccamento ‘Valentini’ della 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’ attaccò un convoglio tedesco sulla strada tra Loro Ciuffenna e Terranuova; la schermaglia si risolse con la morte di un partigiano e il ferimento di un altro. Il 29 il ‘Valentini’ entrò in azione al fianco della ‘Droandi’ e insieme riuscirono a impegnare e respingere un’unità tedesca.
San Giustino, Villa Grotta
Ci furono parecchie azioni da parte dei partigiani nelle vicinanze di San Giustino, a cominciare dal 21 giugno per continuare fino all’arrivo delle truppe britanniche nel luglio. Il 21 giugno a Molino di Bozzolo, San Giustino, il distaccamento ‘Bigi’ della 24ª Brigata Garibaldi ‘Bande Esterne’ respinse un attacco tedesco. Il 27 dello stesso mese nella stessa area lungo la strada Setteponti, l’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ attaccò e distrusse tre camion, una macchina e due motociclette. Rimasero uccisi quindici passeggeri, compresi due ufficiali.
Questo gruppo di partigiani, che aveva il suo comando nella caserma dei Carabinieri di San Giustino, era comandato da Raul Ballocci che aveva la reputazione di essere uno spietato in quanto eliminava i corpi degli avversari per minimizzare la minaccia di rappresaglie. Lo stesso giorno a San Giustino i suoi uomini usarono una mina per far saltare un camion tedesco e un rimorchio, il 28 attaccarono e distrussero due camion, e in quella occasione due di essi persero la vita. San Giustino fu di nuovo il centro delle loro azioni quando il 29 adoperarono le mine per far saltare una macchina e un’autoblindata, uccidendo tre tedeschi. Il 30 sferrarono altri due attacchi in un luogo non specificato, ma sicuramente nella zona di San Giustino, dato che era il centro dalla maggior parte delle loro attività; in una di queste operazioni fu attaccato un veicolo corazzato e l’equipaggio fu ucciso, mentre in un’altra azione ancora un camion fu fatto saltare con una mina. In tutto persero la vita trentuno soldati, e che ci sarebbero state delle rappresaglie non potevamo che aspettarcelo.
Il 3 luglio sei persone innocenti furono giustiziate alla Villa Grotta vicino San Giustino. Diversamente dal solito, una fonte collega l’esecuzione direttamente ai partigiani.
Le stragi di San Giustino...la prima...avutasi a Villa Grotta immediatamente dopo un'azione partigiana. (Droandi 1995 p. 3)
Un resoconto più dettagliato dell’incontro tra i partigiani dell’ 8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ e le truppe tedesche appartenenti alla 15 Panzergrenadier-Division è il seguente:
La sanguinosa vicenda di Villa Grotta trae origine dal fatto che il 3 luglio 1944 nella rotabile che corre fra San Giustino Valdarno e la frazione di Sercognano un’auto-anfibio tedesca con due militari della unità Panzergrenadier-Division Nachtrichten-Abteilung 33 (l’efficiente reparto comunicazione della 15 Divisione Corazzata, comandata dal maggiore Wiegand), si trovò in mezzo a due colonne partigiane della ‘Banda di Raul’ che, sui due lati del fiume torrentizio Agna, stavano calando sulla via provinciale dei ‘Setteponti’ per una progettata grossa azione diurna con impiego di esplosivi, di armi e bombe a mano di fabbricazione inglese; la banda era armata in modo superlativo per effetto di un lancio di armi e mezzi anglo-americani. I due tedeschi stavano individuando luoghi per la distesa di linee telefoniche e per individuare capisaldi per una linea campale. L’automezzo si incendiò. L’evento fu certamente casuale. (Droandi 2007 pp. 58-59)
Quello che accadde durante la rappresaglia viene riferito da uno dei sopravvissuti, l’ingegnere Ferdinando Griselli che viveva nella villa, il cui padre di ottanta anni fu una delle vittime.
Sulla metà del mese di giugno 1944, gruppi di soldati tedeschi si recavano quasi giornalmente nella mia villa e alle due case coloniche adiacenti, per farvi razzie di suini, di animali da cortile, di vino e di ogni altra cibaria, che fosse loro capitata fra mano, dopo aver rubato orologi, anelli, medaglie e quanto del genere erano riusciti a trovare frugando minutamente ogni stanza. Entravano in casa ad ogni ora del giorno senza riguardo o rispetto neppure di quella finta creanza, che fino ad allora aveva celato la loro vera natura di barbari. Nel pomeriggio del 3 luglio, un camioncino tedesco transitò nella via che costeggia il mio giardino e muore poco oltre la villa. Trascorso qualche minuto, rintronarono alcuni spari, che mi sorpresero. Seppi subito che a circa mezzo chilometro dalla mia casa, l'autoveicolo tedesco si era incontrato con una pattuglia di partigiani e che era avvenuto uno scambio innocuo, di fucilate col solo incendio del camioncino. Infatti i due tedeschi che lo montavano, ripassarono illesi e a piedi davanti alla mia casa. Né io, né altri del luogo, sul momento, ci rendemmo conto del pericolo che ci sovrastava e non pensammo di allontanarci. Trascorsa appena un'ora, giunsero due autoblindo e due camion carichi di soldati della SS tedesca, i quali immediatamente con lanciafiamme, appiccarono il fuoco alla villa, alle due case coloniche ed ai pagliai.
Frattanto altri soldati radunarono quante persone si trovavano sul posto e senza ascoltare me ed i miei, che, parlando il tedesco, se ne dimostrava l'innocenza, mentre le donne in ginocchio chiedevano pietà, ci incolonnarono fra le due autoblindo e affiancate dai soldati col mitra imbracciato, ci incamminarono a passo forzato verso il luogo dove era avvenuta la sparatoria. I più vecchi, sia per l'età e sia per il terrore, non potendo tener dietro alla marcia, venivano spinti col calcio del fucile. Uno di essi, caduto sfinito, fu rialzato a pedate e rimesso nel gruppo. Lo sostennero le sue figliole, che presolo sotto braccio, lo aiutarono a camminare. Giunti sul ciglio della strada, l'autoblinda che ci precedeva, cominciò a sparare verso i casolari della montagna per terrorizzare la popolazione. Compiuta la sparatoria, le autoblindo si ritirarono. Un plotone di soldati che si era schierato nel campo limitrofo alla strada, imbracciato il mitra, ci mitragliò. Ricordo che alcuni del plotone d'esecuzione ridevano e sghignazzavano mentre ci puntavano le armi addosso. Quattro uomini morirono sul tiro, altri due morirono nei giorni successivi, altri otto rimasero feriti più o meno gravemente, e fra questi anch'io. Ammassati gli uni sugli altri, restammo per qualche ora immobili, perché i soldati che erano rimasti di guardia nelle vicinanze, sparavano alla cieca al minimo nostro movimento.
Dopo varie ore, approfittando di un momento nel quale i tedeschi si erano allontanati, io ed altri feriti meno gravi, strisciando carponi lungo un fosso, riuscimmo a raggiungere il vicino casolare di Sercognano e di lì, aiutati dai partigiani, arrivammo al borgo montano di Roveraia, dove venimmo medicati dal colonnello veterinario dott. Ivo Droandi, ivi sfollato. I feriti gravi rimasero abbandonati sul ciglio della strada fino al mattino successivo. Nessuno poté soccorrerli, perché i tedeschi bivaccavano nelle vicinanze sparando su quanti tentavano di avvicinarsi al luogo dell'eccidio. Dopo le nove del giorno successivo, un camion li raccolse e li condusse all'ospedale di Castelfranco, dove uno di essi giunse agonizzante per emorragia, ed un altro morì pochi giorni dopo per setticemia.
I morti rimasero abbandonati sul terreno fino al giorno sei. Un gruppo di paesani li raccolse e li portò al cimitero. Ma mentre stavano per entrare nel cimitero coi morti, vennero catturati dai tedeschi sopraggiunti con altri prigionieri già rastrellati nella campagna, in tutti quaranta. Fermati, furono massacrati a colpi di mitra. Uno solo dei quaranta scampò alla strage. Ferito gravemente poté salvarsi perché rimase sotto i corpi dei suoi fratelli, che, abbracciati a lui, al momento dello sparo, in un ultimo disperato amplesso, gli erano caduti sopra. Io ed i miei miracolosamente salvi, fummo inseguiti dai tedeschi sulla montagna. Feriti, privi di medicine, di alimenti e di indumenti, andammo randagi di poggio in poggio per un mese, fino al giorno della liberazione.
Tornati, trovammo le nostre case arse, i campi devastati, bruciati, covoni del grano non ancora battuti, mozzati gli olivi, le piante da frutto e le viti, i morti ancora insepolti, imputriditi allo scoperto. Chiedevano la pace del sepolcro e la vendetta contro i loro carnefici. (Curina 1957 pp. 478-9)
Questo gruppo di partigiani, che aveva il suo comando nella caserma dei Carabinieri di San Giustino, era comandato da Raul Ballocci che aveva la reputazione di essere uno spietato in quanto eliminava i corpi degli avversari per minimizzare la minaccia di rappresaglie. Lo stesso giorno a San Giustino i suoi uomini usarono una mina per far saltare un camion tedesco e un rimorchio, il 28 attaccarono e distrussero due camion, e in quella occasione due di essi persero la vita. San Giustino fu di nuovo il centro delle loro azioni quando il 29 adoperarono le mine per far saltare una macchina e un’autoblindata, uccidendo tre tedeschi. Il 30 sferrarono altri due attacchi in un luogo non specificato, ma sicuramente nella zona di San Giustino, dato che era il centro dalla maggior parte delle loro attività; in una di queste operazioni fu attaccato un veicolo corazzato e l’equipaggio fu ucciso, mentre in un’altra azione ancora un camion fu fatto saltare con una mina. In tutto persero la vita trentuno soldati, e che ci sarebbero state delle rappresaglie non potevamo che aspettarcelo.
Il 3 luglio sei persone innocenti furono giustiziate alla Villa Grotta vicino San Giustino. Diversamente dal solito, una fonte collega l’esecuzione direttamente ai partigiani.
Le stragi di San Giustino...la prima...avutasi a Villa Grotta immediatamente dopo un'azione partigiana. (Droandi 1995 p. 3)
Un resoconto più dettagliato dell’incontro tra i partigiani dell’ 8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ e le truppe tedesche appartenenti alla 15 Panzergrenadier-Division è il seguente:
La sanguinosa vicenda di Villa Grotta trae origine dal fatto che il 3 luglio 1944 nella rotabile che corre fra San Giustino Valdarno e la frazione di Sercognano un’auto-anfibio tedesca con due militari della unità Panzergrenadier-Division Nachtrichten-Abteilung 33 (l’efficiente reparto comunicazione della 15 Divisione Corazzata, comandata dal maggiore Wiegand), si trovò in mezzo a due colonne partigiane della ‘Banda di Raul’ che, sui due lati del fiume torrentizio Agna, stavano calando sulla via provinciale dei ‘Setteponti’ per una progettata grossa azione diurna con impiego di esplosivi, di armi e bombe a mano di fabbricazione inglese; la banda era armata in modo superlativo per effetto di un lancio di armi e mezzi anglo-americani. I due tedeschi stavano individuando luoghi per la distesa di linee telefoniche e per individuare capisaldi per una linea campale. L’automezzo si incendiò. L’evento fu certamente casuale. (Droandi 2007 pp. 58-59)
Quello che accadde durante la rappresaglia viene riferito da uno dei sopravvissuti, l’ingegnere Ferdinando Griselli che viveva nella villa, il cui padre di ottanta anni fu una delle vittime.
Sulla metà del mese di giugno 1944, gruppi di soldati tedeschi si recavano quasi giornalmente nella mia villa e alle due case coloniche adiacenti, per farvi razzie di suini, di animali da cortile, di vino e di ogni altra cibaria, che fosse loro capitata fra mano, dopo aver rubato orologi, anelli, medaglie e quanto del genere erano riusciti a trovare frugando minutamente ogni stanza. Entravano in casa ad ogni ora del giorno senza riguardo o rispetto neppure di quella finta creanza, che fino ad allora aveva celato la loro vera natura di barbari. Nel pomeriggio del 3 luglio, un camioncino tedesco transitò nella via che costeggia il mio giardino e muore poco oltre la villa. Trascorso qualche minuto, rintronarono alcuni spari, che mi sorpresero. Seppi subito che a circa mezzo chilometro dalla mia casa, l'autoveicolo tedesco si era incontrato con una pattuglia di partigiani e che era avvenuto uno scambio innocuo, di fucilate col solo incendio del camioncino. Infatti i due tedeschi che lo montavano, ripassarono illesi e a piedi davanti alla mia casa. Né io, né altri del luogo, sul momento, ci rendemmo conto del pericolo che ci sovrastava e non pensammo di allontanarci. Trascorsa appena un'ora, giunsero due autoblindo e due camion carichi di soldati della SS tedesca, i quali immediatamente con lanciafiamme, appiccarono il fuoco alla villa, alle due case coloniche ed ai pagliai.
Frattanto altri soldati radunarono quante persone si trovavano sul posto e senza ascoltare me ed i miei, che, parlando il tedesco, se ne dimostrava l'innocenza, mentre le donne in ginocchio chiedevano pietà, ci incolonnarono fra le due autoblindo e affiancate dai soldati col mitra imbracciato, ci incamminarono a passo forzato verso il luogo dove era avvenuta la sparatoria. I più vecchi, sia per l'età e sia per il terrore, non potendo tener dietro alla marcia, venivano spinti col calcio del fucile. Uno di essi, caduto sfinito, fu rialzato a pedate e rimesso nel gruppo. Lo sostennero le sue figliole, che presolo sotto braccio, lo aiutarono a camminare. Giunti sul ciglio della strada, l'autoblinda che ci precedeva, cominciò a sparare verso i casolari della montagna per terrorizzare la popolazione. Compiuta la sparatoria, le autoblindo si ritirarono. Un plotone di soldati che si era schierato nel campo limitrofo alla strada, imbracciato il mitra, ci mitragliò. Ricordo che alcuni del plotone d'esecuzione ridevano e sghignazzavano mentre ci puntavano le armi addosso. Quattro uomini morirono sul tiro, altri due morirono nei giorni successivi, altri otto rimasero feriti più o meno gravemente, e fra questi anch'io. Ammassati gli uni sugli altri, restammo per qualche ora immobili, perché i soldati che erano rimasti di guardia nelle vicinanze, sparavano alla cieca al minimo nostro movimento.
Dopo varie ore, approfittando di un momento nel quale i tedeschi si erano allontanati, io ed altri feriti meno gravi, strisciando carponi lungo un fosso, riuscimmo a raggiungere il vicino casolare di Sercognano e di lì, aiutati dai partigiani, arrivammo al borgo montano di Roveraia, dove venimmo medicati dal colonnello veterinario dott. Ivo Droandi, ivi sfollato. I feriti gravi rimasero abbandonati sul ciglio della strada fino al mattino successivo. Nessuno poté soccorrerli, perché i tedeschi bivaccavano nelle vicinanze sparando su quanti tentavano di avvicinarsi al luogo dell'eccidio. Dopo le nove del giorno successivo, un camion li raccolse e li condusse all'ospedale di Castelfranco, dove uno di essi giunse agonizzante per emorragia, ed un altro morì pochi giorni dopo per setticemia.
I morti rimasero abbandonati sul terreno fino al giorno sei. Un gruppo di paesani li raccolse e li portò al cimitero. Ma mentre stavano per entrare nel cimitero coi morti, vennero catturati dai tedeschi sopraggiunti con altri prigionieri già rastrellati nella campagna, in tutti quaranta. Fermati, furono massacrati a colpi di mitra. Uno solo dei quaranta scampò alla strage. Ferito gravemente poté salvarsi perché rimase sotto i corpi dei suoi fratelli, che, abbracciati a lui, al momento dello sparo, in un ultimo disperato amplesso, gli erano caduti sopra. Io ed i miei miracolosamente salvi, fummo inseguiti dai tedeschi sulla montagna. Feriti, privi di medicine, di alimenti e di indumenti, andammo randagi di poggio in poggio per un mese, fino al giorno della liberazione.
Tornati, trovammo le nostre case arse, i campi devastati, bruciati, covoni del grano non ancora battuti, mozzati gli olivi, le piante da frutto e le viti, i morti ancora insepolti, imputriditi allo scoperto. Chiedevano la pace del sepolcro e la vendetta contro i loro carnefici. (Curina 1957 pp. 478-9)
San Giustino, Orenaccio
LAPIDE A ORENACCIO
Non è escluso che la seconda rappresaglia, in cui vennero uccisi trentuno uomini e non quaranta come riportato da Griselli, fosse la reazione ad un attacco che si era verificato il 4 luglio, quando tre partigiani dell’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ persero la vita in un assalto ad alcuni veicoli tedeschi, ma nel suo libro La Toscana nella Guerra di Liberazione Luciano Casella riporta un’altra azione che ebbe luogo nella notte tra il 5 e il 6 luglio.
A Orenaccio di Loro Ciuffenna, dopo un attacco contro un automezzo tedesco compiuto dai partigiani e durante il quale rimasero uccisi quattro tedeschi, vennero trucidate la mattina del 6 luglio trentuno persone ivi condotte dalla frazione di San Giustino Valdarno. (Casella p. 212)
Un’altra fonte attribuisce la responsabilità non all’8 Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ ma alla deposizione di una mina da strappo da parte di una pattuglia di paracadutisti inglesi del Long Range Desert Group commandata dal Capitano Rowbotton (sic) (Droandi 1995 p.3)
Il Lieutenant Gordon Fardel Rowbottom era stato paracadutato insieme ad altri sei uomini dietro le linee nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Rowbottom, con quattro della squadra originaria dei sei, era riuscito a raggiungere i partigiani dell’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ sul Pratomagno, e il 20 giugno era stato determinante nell’organizzazione del lancio di armi col paracadute effettuato dagli Alleati. Tuttavia Rowbottom non si intendeva con Raul, perché lo considerava un comunista, nonostante che il comandante partigiano si proclamasse socialista e membro del Partito d’Azione. Fra l’altro Rowbottom disapprovava fortemente l’esecuzione di tre prigionieri di guerra tedeschi ordinata da Raul. Il primo luglio i due si erano congedati apparentemente di buon accordo, e un totale di undici uomini avevano lasciato la formazione di Raul – i cinque soldati britannici del Long Range Desert Group, due francesi appartenenti alla Legione Straniera, e quattro italiani. Organizzarono un nuovo gruppo che effettuò atti di sabotaggio uguali a quelli organizzati dai partigiani.
Rowbottom, con 11 uomini e tre guide italiane, se ne andò ricevendo una sovvenzione di 10 mila lire, che erano un patrimonio, e due asini. E dicendo che si recava direttamente verso il fronte. Invece, barò. Si fermò su Gello Biscardo, sopra Castiglion Fibocchi, nascondendosi protetto dai montanari di Casale, di Campovecchio ed altri poderi, e compiendo azioni con le mine. Fra queste, appunto, quella di Orenaccio e quella di Fontaccia. (Droandi www.regione.toscana.it/ memorie del ‘900)
L'annotazione di Rowbottom nel Diario di Guerra sulla notte del 5 luglio descrive in dettaglio le azioni dei suoi uomini.
Quella notte insieme con i due francesi e con i tenenti Candler e Pope, il caporale Buss ed io attaccammo la linea del telegrafo...con due libbre di plastico su due pali e con un lapis ad orologeria a 1 ora e 1/2, e poi minammo la strada San Giustino-Castiglioni nella medesima area. Un camion prese fuoco e bruciò per più di due ore; più tardi mi fu riferito che era una cisterna tedesca da petrolio, e che quattro tedeschi erano rimasti uccisi. (Droandi 2007 p. 60)
A Orenaccio di Loro Ciuffenna, dopo un attacco contro un automezzo tedesco compiuto dai partigiani e durante il quale rimasero uccisi quattro tedeschi, vennero trucidate la mattina del 6 luglio trentuno persone ivi condotte dalla frazione di San Giustino Valdarno. (Casella p. 212)
Un’altra fonte attribuisce la responsabilità non all’8 Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ ma alla deposizione di una mina da strappo da parte di una pattuglia di paracadutisti inglesi del Long Range Desert Group commandata dal Capitano Rowbotton (sic) (Droandi 1995 p.3)
Il Lieutenant Gordon Fardel Rowbottom era stato paracadutato insieme ad altri sei uomini dietro le linee nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Rowbottom, con quattro della squadra originaria dei sei, era riuscito a raggiungere i partigiani dell’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ sul Pratomagno, e il 20 giugno era stato determinante nell’organizzazione del lancio di armi col paracadute effettuato dagli Alleati. Tuttavia Rowbottom non si intendeva con Raul, perché lo considerava un comunista, nonostante che il comandante partigiano si proclamasse socialista e membro del Partito d’Azione. Fra l’altro Rowbottom disapprovava fortemente l’esecuzione di tre prigionieri di guerra tedeschi ordinata da Raul. Il primo luglio i due si erano congedati apparentemente di buon accordo, e un totale di undici uomini avevano lasciato la formazione di Raul – i cinque soldati britannici del Long Range Desert Group, due francesi appartenenti alla Legione Straniera, e quattro italiani. Organizzarono un nuovo gruppo che effettuò atti di sabotaggio uguali a quelli organizzati dai partigiani.
Rowbottom, con 11 uomini e tre guide italiane, se ne andò ricevendo una sovvenzione di 10 mila lire, che erano un patrimonio, e due asini. E dicendo che si recava direttamente verso il fronte. Invece, barò. Si fermò su Gello Biscardo, sopra Castiglion Fibocchi, nascondendosi protetto dai montanari di Casale, di Campovecchio ed altri poderi, e compiendo azioni con le mine. Fra queste, appunto, quella di Orenaccio e quella di Fontaccia. (Droandi www.regione.toscana.it/ memorie del ‘900)
L'annotazione di Rowbottom nel Diario di Guerra sulla notte del 5 luglio descrive in dettaglio le azioni dei suoi uomini.
Quella notte insieme con i due francesi e con i tenenti Candler e Pope, il caporale Buss ed io attaccammo la linea del telegrafo...con due libbre di plastico su due pali e con un lapis ad orologeria a 1 ora e 1/2, e poi minammo la strada San Giustino-Castiglioni nella medesima area. Un camion prese fuoco e bruciò per più di due ore; più tardi mi fu riferito che era una cisterna tedesca da petrolio, e che quattro tedeschi erano rimasti uccisi. (Droandi 2007 p. 60)
Castiglion Fibocchi e Faeto
LAPIDE CASTIGLION FIBOCCHI
La rappresaglia di Orenaccio non servì a fermare la mano dei partigiani. Il 9 luglio a Castiglion Fibocchi durante un’azione in cui il loro comandante fu catturato, il ‘Volante’ del ‘Licio Nencetti’ distrusse un camion tedesco che probabilmente apparteneva alla 334 Infanterie-Division che era attiva lungo la strada Setteponti. Inoltre l’11 luglio il 3° squadrone del 3° distaccamento ‘Licio Nencetti’ eseguì un’azione vicino San Giustino in cui furono uccise due sentinelle; poi durante una scaramuccia con una pattuglia nella vicina valle del fiume Ascione, il ‘Valentini’ uccise altri tre tedeschi. Anche Rowbottom ed i suoi uomini erano in azione quella settimana ed il Diario di Guerra del Long Range Desert Group prosegue in data 10 luglio in questo modo
I nostri due italiani ci dissero che c'era un comando di divisione...vicino alla strada Castiglioni- Meliciano e così decidemmo di minare quella strada vicino al comando con i due italiani come guide; i tenenti Candler e Pope, un francese, i caporali Buss e Tasker ed io piazzammo le solite 10 libbre di plastico, ma questa volta con interruttori a doppia pressione, sulla strada...Un camion saltò in aria e bruciò per un'ora e mezzo ed esplose una grande quantità di SAA. Facemmo una valutazione ed accertammo che il camion era carico per metà di petrolio e per metà di ammonio. Il che venne confermato da un tedesco preso prigioniero con il quale parlammo ad Arezzo, il quale disse che il generale era a tre macchine distante in quel momento. La rappresaglia tedesca fu la fucilazione di 14 civili, compreso un vecchio di 70 anni e un ragazzo di 12 e la distruzione delle loro case. (Droandi 2007 p. 61)
Rowbottom si assume tutta la responsabilità di questo massacro come dimostrano le annotazioni nel diario, ma forse si dovrebbero prendere in considerazione altre circostanze prima di addossare tutta la colpa a lui, perchè il comandante dello squadrone ‘Volante’ della ‘Licio Nencetti’ fuggì dalla caserma dove era tenuto prigioniero. Così facendo uccise una sentinella tedesca e distrusse un piccolo autocarro. Luigi Dei,commissario prefettizio del comune,
nominato evidentemente dalle autorità della RSI, fu visitato da un ufficiale tedesco, che gli disse dell’evaso e gli chiese una lista di dieci uomini da fucilare in caso di mancato ritrovamento. Il Dei, con dignità e coraggio rifiutò la lista e rispose di essere il primo nella lista stessa. (Droandi 2007 p. 67)
Nel suo rapporto alla Sezione Crimini di Guerra Britannici del Comando delle Forze Alleate sulle Rappresaglie Tedesche per Attività Partigiane in Italia, include i massacri di Castiglion Fibocchi nella lista delle atrocità causate dagli attacchi partigiani alle truppe tedesche, facendo pensare che gli inquirenti o non erano al corrente delle attività del Long Range Desert Group, oppure che attribuivano più peso alla fuga del comandante partigiano dalla caserma e alla conseguente uccisione della sentinella.
I nostri due italiani ci dissero che c'era un comando di divisione...vicino alla strada Castiglioni- Meliciano e così decidemmo di minare quella strada vicino al comando con i due italiani come guide; i tenenti Candler e Pope, un francese, i caporali Buss e Tasker ed io piazzammo le solite 10 libbre di plastico, ma questa volta con interruttori a doppia pressione, sulla strada...Un camion saltò in aria e bruciò per un'ora e mezzo ed esplose una grande quantità di SAA. Facemmo una valutazione ed accertammo che il camion era carico per metà di petrolio e per metà di ammonio. Il che venne confermato da un tedesco preso prigioniero con il quale parlammo ad Arezzo, il quale disse che il generale era a tre macchine distante in quel momento. La rappresaglia tedesca fu la fucilazione di 14 civili, compreso un vecchio di 70 anni e un ragazzo di 12 e la distruzione delle loro case. (Droandi 2007 p. 61)
Rowbottom si assume tutta la responsabilità di questo massacro come dimostrano le annotazioni nel diario, ma forse si dovrebbero prendere in considerazione altre circostanze prima di addossare tutta la colpa a lui, perchè il comandante dello squadrone ‘Volante’ della ‘Licio Nencetti’ fuggì dalla caserma dove era tenuto prigioniero. Così facendo uccise una sentinella tedesca e distrusse un piccolo autocarro. Luigi Dei,commissario prefettizio del comune,
nominato evidentemente dalle autorità della RSI, fu visitato da un ufficiale tedesco, che gli disse dell’evaso e gli chiese una lista di dieci uomini da fucilare in caso di mancato ritrovamento. Il Dei, con dignità e coraggio rifiutò la lista e rispose di essere il primo nella lista stessa. (Droandi 2007 p. 67)
Nel suo rapporto alla Sezione Crimini di Guerra Britannici del Comando delle Forze Alleate sulle Rappresaglie Tedesche per Attività Partigiane in Italia, include i massacri di Castiglion Fibocchi nella lista delle atrocità causate dagli attacchi partigiani alle truppe tedesche, facendo pensare che gli inquirenti o non erano al corrente delle attività del Long Range Desert Group, oppure che attribuivano più peso alla fuga del comandante partigiano dalla caserma e alla conseguente uccisione della sentinella.
Faeto e lo scontro fra i partigiani ed i tedeschi
Un’altra vittima del terrore fu il prete della vicina Faeto, Don Dante Ricci, crudelmente assassinato per aver dato assistenza non solo ai partigiani ma anche ai prigionieri di guerra sia alleati che slavi durante la loro fuga. La sua morte non fu la conseguenza diretta delle azioni partigiane dato che lui era già stato segnalato ai tedeschi da una spia, col risultato che una pattuglia si era presentata a casa sua la mattina del 10 per catturarlo, ma lui era riuscito a scappare dalla porta sul retro. Il giorno seguente era tornato per celebrare la messa e non appena i tedeschi udirono le campane della chiesa ritornarono e lo arrestarono. Lo trascinarono nella boscaglia non lontano, lo denudarono e lo torturarono prima di scaricargli addosso una mitragliata. Il povero prete cadde a terra ed era ancora vivo benché gravemente ferito, allorché i tedeschi gli saltarono addosso e gli spaccarono la testa in due con una baionetta prima di buttarlo giù da un precipizio.
Lo stesso giorno in cui Don Dante Ricci fu ucciso, scoppiò una battaglia vera e propria tra i partigiani e le truppe appartenenti alla Geheim Feldpolizei Gruppe 741 e il 11/3 Regiment-Brandenburg. I tedeschi erano bene informati sulle forze partigiane presenti sul Pratomagno benché non necessariamente conoscessero la formazione specifica con cui si sarebbero battuti di volta in volta. Una delle loro pagine di diario riporta informazioni fornite da una spia, la quale li informò che c’erano circa duemila uomini presenti in zona e che le loro basi si trovavano in fattorie di montagna al di sopra degli ottocento metri. La spia riferì anche come erano organizzati e fece riferimento a squadroni di venti uomini suddivisi a loro volta in squadre di sei; descrisse anche le loro armi e alcune delle tecniche di guerriglia da loro adottate, come il blocco delle carreggiate tramite tronchi d’albero abbattuti, per impedire ai veicoli di procedere su per la montagna. Fu notato che i partigiani avevano trasportato gli animali dalle fattorie al Pratomagno per evitare che fossero requisiti dai tedeschi.
L’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ iniziò la sua offensiva l’11 luglio; sferrando un attacco ad una pattuglia tedesca a Pratovalle in cui uccisero dodici uomini, ne persero uno dei loro. Proseguirono impegnando le truppe tedesche a Anciolina Roveraia (o a Talla secondo fonti diverse), dove inflissero ai nemici ventidue perdite. Per contro i tedeschi uccisero nove partigiani, ferendone tre, un altro partigiano rimase disperso e quattro furono presi prigionieri.
l’11 luglio il Diario di Guerra tedesco riporta invece una battaglia con la ‘Lanciotto’ nell’area di Loro Ciuffenna, e dice
Contatti e scaramucce continue con una banda di circa cinquanta-sessanta uomini...una delle loro basi distrutta. E’ stata rinvenuta una gran quantità di armi e munizioni, materiale incendiario e cibo, ed un container appartenente ad un lanciamissili inglese...I morti sono stati complessivamente cinquantuno, tutti appartenenti alla 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’...nessuna perdita tra i nostri.
Come loro costume, i tedeschi non hanno mai parlato di massacri di civili nei loro diari di guerra e queste perdite si riferirebbero ai cinquantuno uomini massacrati a Villa Grotta, Orenaccio e Fontaccia. Comunque, eccezionalmente, il diario della Geheim Feldpolizei Gruppe 741, parlando della stessa battaglia riporta che
lo scontro del 10/11 luglio...nella zona di Talla ebbe luogo non con la 22° Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’ ma con la 8° Banda Autonoma, comandante Raul Ballocci, e parte della 19° Brigata ‘Caiani’, che non subiva le perdite dichiarate. Si trattava di inermi civili e non partigiani.
Chiaramente, nessuna spiegazione di questi morti civili veniva fornita.
In seguito a questa offensiva dell’11, non c’è da sorprendersi che i tedeschi abbiano fatto un ultimo deciso sforzo di catturare tutti i partigiani che avevano la base sul Pratomagno. Il 12 mossero da Faltona, Raggiolo, Loro Ciuffenna, San Clemente e Trappola in compagnia dei fascisti locali e proseguirono verso gli avamposti sopra Carda e Calletta dove sbaragliarono il 3° distaccamento ‘Licio Nencetti’ della ‘Pio Borri’. Il 13 i quattro partigiani appartenenti all’8° Raggruppamento ‘Monte Amiata’ che erano stati catturati due giorni prima furono impiccati a Trappola.
Nonostante questo attacco i partigiani riuscirono a sfuggire, però rimasero comunque nella zona. Gli abitanti di Rocca Ricciarda, dove i partigiani si nascondevano spesso, furono portati in salvo il 13 dalla Brigata ‘Mameli’ prima che i tedeschi mettessero a ferro e fuoco il paesino. Chiosi riporta un incidente che si verificò lo stesso giorno, che è esattamente indicativo di quanto la gente avesse paura di essere ricollegata a loro. Dieci persone inclusa la moglie di un partigiano e il loro figlio di sei anni avevano trovato ricovero in un rifugio vicino Odina nella zona pedemontana ad ovest di Loro Ciuffenna. Uno degli altri occupanti, una signora, insistette che la donna e il bambino fossero cacciati via poiché aveva paura che il rifugio venisse messo a fuoco dai tedeschi se avessero scoperto la presenza di queste due persone. Furono costretti ad andarsene e passarono la notte al riparo di un grande castagno. Secondo Chiosi
l'attacco tedesco del 13/07 su tutto l'arco del Pratomagno...ha avuto lo scopo di forzare il passaggio, per assicurarsi il proprio ripiegamento e quello dei reparti o gruppi che dovevano affluire nei giorni successivi e lo scopo è stato raggiunto. (Chiosi p. 15)
Prosegue poi col dire che dopo questa azione, per ragioni che non erano chiare, la maggior parte delle truppe tedesche ancora presenti nella zona finì per concentrarsi a Modine, un paesino vicino Loro Ciuffenna sulla strada per Rocca Ricciarda.
Lo stesso giorno in cui Don Dante Ricci fu ucciso, scoppiò una battaglia vera e propria tra i partigiani e le truppe appartenenti alla Geheim Feldpolizei Gruppe 741 e il 11/3 Regiment-Brandenburg. I tedeschi erano bene informati sulle forze partigiane presenti sul Pratomagno benché non necessariamente conoscessero la formazione specifica con cui si sarebbero battuti di volta in volta. Una delle loro pagine di diario riporta informazioni fornite da una spia, la quale li informò che c’erano circa duemila uomini presenti in zona e che le loro basi si trovavano in fattorie di montagna al di sopra degli ottocento metri. La spia riferì anche come erano organizzati e fece riferimento a squadroni di venti uomini suddivisi a loro volta in squadre di sei; descrisse anche le loro armi e alcune delle tecniche di guerriglia da loro adottate, come il blocco delle carreggiate tramite tronchi d’albero abbattuti, per impedire ai veicoli di procedere su per la montagna. Fu notato che i partigiani avevano trasportato gli animali dalle fattorie al Pratomagno per evitare che fossero requisiti dai tedeschi.
L’8° Raggruppamento Patrioti ‘Monte Amiata’ iniziò la sua offensiva l’11 luglio; sferrando un attacco ad una pattuglia tedesca a Pratovalle in cui uccisero dodici uomini, ne persero uno dei loro. Proseguirono impegnando le truppe tedesche a Anciolina Roveraia (o a Talla secondo fonti diverse), dove inflissero ai nemici ventidue perdite. Per contro i tedeschi uccisero nove partigiani, ferendone tre, un altro partigiano rimase disperso e quattro furono presi prigionieri.
l’11 luglio il Diario di Guerra tedesco riporta invece una battaglia con la ‘Lanciotto’ nell’area di Loro Ciuffenna, e dice
Contatti e scaramucce continue con una banda di circa cinquanta-sessanta uomini...una delle loro basi distrutta. E’ stata rinvenuta una gran quantità di armi e munizioni, materiale incendiario e cibo, ed un container appartenente ad un lanciamissili inglese...I morti sono stati complessivamente cinquantuno, tutti appartenenti alla 22ª Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’...nessuna perdita tra i nostri.
Come loro costume, i tedeschi non hanno mai parlato di massacri di civili nei loro diari di guerra e queste perdite si riferirebbero ai cinquantuno uomini massacrati a Villa Grotta, Orenaccio e Fontaccia. Comunque, eccezionalmente, il diario della Geheim Feldpolizei Gruppe 741, parlando della stessa battaglia riporta che
lo scontro del 10/11 luglio...nella zona di Talla ebbe luogo non con la 22° Brigata Garibaldi ‘Lanciotto’ ma con la 8° Banda Autonoma, comandante Raul Ballocci, e parte della 19° Brigata ‘Caiani’, che non subiva le perdite dichiarate. Si trattava di inermi civili e non partigiani.
Chiaramente, nessuna spiegazione di questi morti civili veniva fornita.
In seguito a questa offensiva dell’11, non c’è da sorprendersi che i tedeschi abbiano fatto un ultimo deciso sforzo di catturare tutti i partigiani che avevano la base sul Pratomagno. Il 12 mossero da Faltona, Raggiolo, Loro Ciuffenna, San Clemente e Trappola in compagnia dei fascisti locali e proseguirono verso gli avamposti sopra Carda e Calletta dove sbaragliarono il 3° distaccamento ‘Licio Nencetti’ della ‘Pio Borri’. Il 13 i quattro partigiani appartenenti all’8° Raggruppamento ‘Monte Amiata’ che erano stati catturati due giorni prima furono impiccati a Trappola.
Nonostante questo attacco i partigiani riuscirono a sfuggire, però rimasero comunque nella zona. Gli abitanti di Rocca Ricciarda, dove i partigiani si nascondevano spesso, furono portati in salvo il 13 dalla Brigata ‘Mameli’ prima che i tedeschi mettessero a ferro e fuoco il paesino. Chiosi riporta un incidente che si verificò lo stesso giorno, che è esattamente indicativo di quanto la gente avesse paura di essere ricollegata a loro. Dieci persone inclusa la moglie di un partigiano e il loro figlio di sei anni avevano trovato ricovero in un rifugio vicino Odina nella zona pedemontana ad ovest di Loro Ciuffenna. Uno degli altri occupanti, una signora, insistette che la donna e il bambino fossero cacciati via poiché aveva paura che il rifugio venisse messo a fuoco dai tedeschi se avessero scoperto la presenza di queste due persone. Furono costretti ad andarsene e passarono la notte al riparo di un grande castagno. Secondo Chiosi
l'attacco tedesco del 13/07 su tutto l'arco del Pratomagno...ha avuto lo scopo di forzare il passaggio, per assicurarsi il proprio ripiegamento e quello dei reparti o gruppi che dovevano affluire nei giorni successivi e lo scopo è stato raggiunto. (Chiosi p. 15)
Prosegue poi col dire che dopo questa azione, per ragioni che non erano chiare, la maggior parte delle truppe tedesche ancora presenti nella zona finì per concentrarsi a Modine, un paesino vicino Loro Ciuffenna sulla strada per Rocca Ricciarda.
Modine e l'arrivo delle truppe britanniche
LAPIDE VICINO A MODINE
Dopo aver liberato Arezzo molti reggimenti appartenenti alla 6 British Armoured Division, che erano impegnati a combattere la 334 Infanterie-Division e la 15 Panzergrenadier-Division lungo la strada di Setteponti che attraversa Castiglion Fibocchi e San Giustino, riferiscono nei loro diari di guerra ed altri documenti dei contatti intrattenuti coi civili e coi partigiani. Il 2 Regiment Royal Horse Artillery, giunto a Casamona vicino Faeto il 21 luglio, ricevette molti resoconti sulla situazione da prigionieri di guerra fuggiaschi, da partigiani e da civili. Il 1 Derbyshire Yeomanry, che il 25 aveva il suo presidio a Laterina, appresero dai civili e dai partigiani che il nemico era nelle colline in forze ragguardevoli ma disordinate; scendevano alle fattorie sparse là intorno e ai villaggi durante la notte per approvvigionarsi, essendo seriamente a corto di alimenti. Quattro prigionieri appartenenti al Panzergrenadier-Regiment 1/104 della 15 Panzergrenadier-Division furono ceduti alla 1 Guards Brigade il 26 luglio a Borro vicino Castiglion Fibocchi da partigiani appartenenti al ‘Valentini’. L’aver catturato qui quattro prigionieri fu indubbiamente la ragione della retata dei quaranta ostaggi vicino Loro Ciuffenna che avvenne il giorno stesso. Chiosi scrive
Data questa libertà di ritirata, è perciò strano che il massiccio contingente tedesco, (circa trecento uomini, sembra), che si è concentrato in Modine, abbia prelevato dai casolari sparsi nella zona di Poggio di Loro, alcune decine di donne e di ragazzi, conducendoli come ostaggi in Modine. Secondo i calcoli che furono fatti allora, si trattò di trentanove persone in tutto. Ad essi si aggiunge il parroco di Modine, Don Giuseppe Noccoluti, che lasciato in un primo tempo la borgata con tutti gli abitanti all'arrivo dei tedeschi, si ritroverà al momento critico, per cercare di dissuadere il comando tedesco da compiere l'irreparabile. (Chiosi p. 15)
Data questa libertà di ritirata, è perciò strano che il massiccio contingente tedesco, (circa trecento uomini, sembra), che si è concentrato in Modine, abbia prelevato dai casolari sparsi nella zona di Poggio di Loro, alcune decine di donne e di ragazzi, conducendoli come ostaggi in Modine. Secondo i calcoli che furono fatti allora, si trattò di trentanove persone in tutto. Ad essi si aggiunge il parroco di Modine, Don Giuseppe Noccoluti, che lasciato in un primo tempo la borgata con tutti gli abitanti all'arrivo dei tedeschi, si ritroverà al momento critico, per cercare di dissuadere il comando tedesco da compiere l'irreparabile. (Chiosi p. 15)
(Non parla affatto dei nove uomini e della donna uccisa vicino ad un ponte su un ruscello nei boschi al di sotto del paese il 27 luglio. Purtroppo non c’è alcun Diario di Guerra della ‘Mameli’ a differenza di altri gruppi di partigiani, perciò è impossibile stabilire se queste uccisioni furono frutto di rappresaglia a seguito delle loro azioni oppure no; ma quel giorno più ad est sul Pratomagno, in cima ad una valle conosciuta come Fosso alla Specchiana, il ‘Volante’ del 3° distaccamento ‘Licio Nencetti’ attaccò una pattuglia tedesca e uccise un soldato. Se la pattuglia fosse partita da dove i tedeschi si erano concentrati a Modine, questo potrebbe spiegare le esecuzioni.)
Chiosi ottenne la collaborazione del 3 Grenadier Guards per cercare di far rilasciare gli ostaggi tenuti a Modine. Racconta che il comandante britannico rinunciò all’aiuto diretto dei partigiani poiché temeva che la loro presenza potesse peggiorare la situazione, tuttavia richiese che venissero inviate due guide con le truppe. Alle undici di notte la pattuglia britannica si imbatté in una pattuglia tedesca.
La reazione tedesca era pronta e furiosa. Il piccolo teatro dell'operazione fu illuminato dagli sprazzi delle bombe a mano, finché i tedeschi ripiegarono, portandosi via i feriti...Il 28, a Modine, la pattuglia tedesca rientra in sede…rientrano i feriti su barelle improvvisate; più tardi rientreranno anche i morti, appesi a pali di castagno...Il capitano tedesco che, sul momento, non ha battuto ciglio, verso pomeriggio si scalda, si esaspera e decide di bruciare gli ostaggi. Gli ostaggi, che fino dal loro ingresso nella borgata, erano stati ammassati in una specie di angusta cantina, trascorsero ore di angoscia, dal momento della sentenza. In una piazzetta, davanti alla porta della stanza degli ostaggi, una decina di tedeschi, armi alla mano, attendeva. Un soldato austriaco compare ad un certo momento sulla soglia, restando appoggiato allo stipite. La moglie del comandante partigiano gli si avvicinò. “Comandante, non essere cattivo”, gli disse. “Voi molto pregare. Comandante molto parlare ma poco fare.” E ancora, “Finché essere qua io, impossibile bruciare ostaggi”. (Chiosi p. 18)
Per fortuna a quel punto alcuni spari risuonarono attraverso i boschi, di cui uno passò attraverso i muri del posto di comando e scoppiò nella piazza, falciando i soldati. La donna che aveva parlato con l’austriaco fu spinta a terra accanto a lui, col bambino che cadeva sotto il suo corpo, mentre un braccio del soldato veniva dilacerato. Il prete cadde a terra con le gambe squarciate. I tedeschi scomparvero, e la loro fuga determinò la sorte degli ostaggi che scapparono a casa attraverso i boschi. Il giorno dopo alcuni di loro scesero giù a Loro Ciuffenna per riferire quello che era accaduto. Non è chiaro chi avesse sparato i colpi, ma Chiosi afferma che il 28 il 3 Grenadier Guards avanzò e fu rimpiazzato dal 1 Derbyshire Yeomanry, per cui o loro o i partigiani stessi avrebbero messo in fuga i tedeschi.
Come poteva essere previsto, la Brigata ‘Mameli’ sostenne di aver liberato Loro Ciuffenna tre giorni prima dell’arrivo del 3 Grenadier Guards il 27 luglio. Nel loro ruolo di amministratori del paese, cooperarono con le truppe britanniche nell’area di Loro Ciuffenna fino al 28 agosto. Secondo Rodolfo Chiosi i britannici
sostarono in quel paese per un mese intero, anziché ripartire all' imbrunire del giorno stesso, secondo le istruzioni ricevute...fino alla completa liberazione della montagna in quel settore del Pratomagno, che non aveva, agli effetti tattici, che una scarsa importanza nel quadro della lotta. Dato l'atteggiamento assunto dall'esercito tedesco, una lenta ma continua ritirata verso e oltre la valle casentinese, il Pratomagno non avrebbe mai rappresentato una linea sia pure secondaria, di resistenza. (Chiosi p. 12)
Il 29 luglio i partigiani della 23° ‘Pio Borri’ attraversarono la linea ad Anciolina Roveraia e contattarono il comando della 1 Guards Brigade a Campogialli, vicino San Giustino.
Nonostante una lunga presenza nella zona ed i contatti frequenti coi civili e coi partigiani, né il Diario di Guerra della 1 Guards Brigade nè quello del 1 Derbyshire Yeomanry fa riferimento ai massacri di Castiglion Fibocchi, Villa Grotta, Orenaccio e Modine. Il 1 Derbyshire Yeomanry si limita alla seguente osservazione:
In prima serata il 29 luglio una pattuglia di dodici nemici furono avvistati a un migliaio di iarde da un posto di sorveglianza che era stato impiantato vicino San Giustino, ma scomparvero all’arrivo del Lieutenant Addey recatosi in esplorazione con due autocarri. Visto il tempismo eccellente del nemico nelle sue azioni rispetto al movimento degli autocarri, i partigiani arrestarono insieme a sua figlia il proprietario della fattoria in cui il nemico aveva sostato la notte precedente, e dopo un’indagine risultò che erano fascisti convinti che passavano informazioni al nemico.
Si potrebbe dedurre che, diversamente da quello che era accaduto a San Polo, nessuno avesse ritenuto opportuno informare i britannici di ciò che era accaduto.
Di fatto è molto difficile reperire rapporti accurati su come siano stati veramente uccisi gli abitanti del Comune di Loro Ciuffenna. Varie fonti riportano che il numero delle vittime di Villa Grotta fu di quarantasette, eppure non fanno la minima menzione dell’atrocità di Orenaccio. La lapide affissa al Palazzo Comunale elenca cinquantasei persone, di cui nove morte durante il passaggio del fronte, ma include solo quattro delle sei vittime di Villa Grotta (omettendo il nome del proprietario Luigi Griselli, che era probabilmente un simpatizzante fascista), nove delle dieci vittime di Modine, e ventotto delle trentuno di Orenaccio. Elenca i tre partigiani impiccati dai tedeschi il 15 luglio in Piazza Garibaldi a Loro Ciuffenna e commemorati da una lapide, mentre non ricorda i quattro impiccati a Trappola. Una fonte del primo dopoguerra riferisce sessantanove vittime ma omette il nome di un uomo ucciso a Orenaccio. Rodolfo Chiosi nel suo pamphlet autografo 'L’orchidea è fiorita' dà una spiegazione del vuoto di informazione in questo modo
Da quanto è avvenuta nel Valdarno, particolarmente sui pendici del Pratomagno, durante il periodo della lotta clandestina, sotto l'aspetto della Resistenza Armata, si può dire che quasi nulla è stata pubblicata...né poteva essere diversamente, in quanto a nessuno ho fornito alcuna documentazione dei fatti, che ci riguardavano da vicino. (Chiosi p. 3)
Sulle ragioni del suo silenzio in merito non si esprime, ma a confronto con quello che è accaduto altrove, qui c’è un vuoto profondo di informazione. Neanche il prete si era curato di mettere per iscritto quello che era successo - forse perché faceva parte della commissione dei cinque di Chiosi che aveva preso in carico l’amministrazione del paese prima dell’arrivo degli Alleati. Un libro pubblicato dal Comune nel 2003, Loro Ciuffenna e i suoi dintorni, sembra finalmente dare una corretta visione dei fatti. Riporta che
di ciò sono testimonianza tante lapidi e monumenti...71 civili trucidati, interi borghi come Rocca Ricciarda bruciati, il 30 per cento delle abitazioni distrutte, sperimentò direttamente la ferocia nazi- fascista pagando ad altissimo prezzo la generosa ospitalità offerta nel Pratomagno alla Brigata ‘Mameli’. (Loro Ciuffenna e i suoi dintorni p. 37)
Oltre a menzionare tutti i morti, sembra esserci una ammissione del fatto che le rappresaglie erano state la risposta alle azioni partigiane, benché vale la pena di notare che se il diktat tedesco dei dieci italiani per ogni tedesco fosse stato applicato nel Comune di Loro Ciuffenna il numero dei morti sarebbe stato il più alto di qualsiasi altro comune della Provincia di Arezzo. riporta in modo abbastanza dettagliato il massacro a San Polo eppure non parla affatto di quello che accadde a San Giustino, anche se si prende la briga di registrare in che modo i partigiani arrestarono un fascista e sua figlia in quella zona.
Chiosi ottenne la collaborazione del 3 Grenadier Guards per cercare di far rilasciare gli ostaggi tenuti a Modine. Racconta che il comandante britannico rinunciò all’aiuto diretto dei partigiani poiché temeva che la loro presenza potesse peggiorare la situazione, tuttavia richiese che venissero inviate due guide con le truppe. Alle undici di notte la pattuglia britannica si imbatté in una pattuglia tedesca.
La reazione tedesca era pronta e furiosa. Il piccolo teatro dell'operazione fu illuminato dagli sprazzi delle bombe a mano, finché i tedeschi ripiegarono, portandosi via i feriti...Il 28, a Modine, la pattuglia tedesca rientra in sede…rientrano i feriti su barelle improvvisate; più tardi rientreranno anche i morti, appesi a pali di castagno...Il capitano tedesco che, sul momento, non ha battuto ciglio, verso pomeriggio si scalda, si esaspera e decide di bruciare gli ostaggi. Gli ostaggi, che fino dal loro ingresso nella borgata, erano stati ammassati in una specie di angusta cantina, trascorsero ore di angoscia, dal momento della sentenza. In una piazzetta, davanti alla porta della stanza degli ostaggi, una decina di tedeschi, armi alla mano, attendeva. Un soldato austriaco compare ad un certo momento sulla soglia, restando appoggiato allo stipite. La moglie del comandante partigiano gli si avvicinò. “Comandante, non essere cattivo”, gli disse. “Voi molto pregare. Comandante molto parlare ma poco fare.” E ancora, “Finché essere qua io, impossibile bruciare ostaggi”. (Chiosi p. 18)
Per fortuna a quel punto alcuni spari risuonarono attraverso i boschi, di cui uno passò attraverso i muri del posto di comando e scoppiò nella piazza, falciando i soldati. La donna che aveva parlato con l’austriaco fu spinta a terra accanto a lui, col bambino che cadeva sotto il suo corpo, mentre un braccio del soldato veniva dilacerato. Il prete cadde a terra con le gambe squarciate. I tedeschi scomparvero, e la loro fuga determinò la sorte degli ostaggi che scapparono a casa attraverso i boschi. Il giorno dopo alcuni di loro scesero giù a Loro Ciuffenna per riferire quello che era accaduto. Non è chiaro chi avesse sparato i colpi, ma Chiosi afferma che il 28 il 3 Grenadier Guards avanzò e fu rimpiazzato dal 1 Derbyshire Yeomanry, per cui o loro o i partigiani stessi avrebbero messo in fuga i tedeschi.
Come poteva essere previsto, la Brigata ‘Mameli’ sostenne di aver liberato Loro Ciuffenna tre giorni prima dell’arrivo del 3 Grenadier Guards il 27 luglio. Nel loro ruolo di amministratori del paese, cooperarono con le truppe britanniche nell’area di Loro Ciuffenna fino al 28 agosto. Secondo Rodolfo Chiosi i britannici
sostarono in quel paese per un mese intero, anziché ripartire all' imbrunire del giorno stesso, secondo le istruzioni ricevute...fino alla completa liberazione della montagna in quel settore del Pratomagno, che non aveva, agli effetti tattici, che una scarsa importanza nel quadro della lotta. Dato l'atteggiamento assunto dall'esercito tedesco, una lenta ma continua ritirata verso e oltre la valle casentinese, il Pratomagno non avrebbe mai rappresentato una linea sia pure secondaria, di resistenza. (Chiosi p. 12)
Il 29 luglio i partigiani della 23° ‘Pio Borri’ attraversarono la linea ad Anciolina Roveraia e contattarono il comando della 1 Guards Brigade a Campogialli, vicino San Giustino.
Nonostante una lunga presenza nella zona ed i contatti frequenti coi civili e coi partigiani, né il Diario di Guerra della 1 Guards Brigade nè quello del 1 Derbyshire Yeomanry fa riferimento ai massacri di Castiglion Fibocchi, Villa Grotta, Orenaccio e Modine. Il 1 Derbyshire Yeomanry si limita alla seguente osservazione:
In prima serata il 29 luglio una pattuglia di dodici nemici furono avvistati a un migliaio di iarde da un posto di sorveglianza che era stato impiantato vicino San Giustino, ma scomparvero all’arrivo del Lieutenant Addey recatosi in esplorazione con due autocarri. Visto il tempismo eccellente del nemico nelle sue azioni rispetto al movimento degli autocarri, i partigiani arrestarono insieme a sua figlia il proprietario della fattoria in cui il nemico aveva sostato la notte precedente, e dopo un’indagine risultò che erano fascisti convinti che passavano informazioni al nemico.
Si potrebbe dedurre che, diversamente da quello che era accaduto a San Polo, nessuno avesse ritenuto opportuno informare i britannici di ciò che era accaduto.
Di fatto è molto difficile reperire rapporti accurati su come siano stati veramente uccisi gli abitanti del Comune di Loro Ciuffenna. Varie fonti riportano che il numero delle vittime di Villa Grotta fu di quarantasette, eppure non fanno la minima menzione dell’atrocità di Orenaccio. La lapide affissa al Palazzo Comunale elenca cinquantasei persone, di cui nove morte durante il passaggio del fronte, ma include solo quattro delle sei vittime di Villa Grotta (omettendo il nome del proprietario Luigi Griselli, che era probabilmente un simpatizzante fascista), nove delle dieci vittime di Modine, e ventotto delle trentuno di Orenaccio. Elenca i tre partigiani impiccati dai tedeschi il 15 luglio in Piazza Garibaldi a Loro Ciuffenna e commemorati da una lapide, mentre non ricorda i quattro impiccati a Trappola. Una fonte del primo dopoguerra riferisce sessantanove vittime ma omette il nome di un uomo ucciso a Orenaccio. Rodolfo Chiosi nel suo pamphlet autografo 'L’orchidea è fiorita' dà una spiegazione del vuoto di informazione in questo modo
Da quanto è avvenuta nel Valdarno, particolarmente sui pendici del Pratomagno, durante il periodo della lotta clandestina, sotto l'aspetto della Resistenza Armata, si può dire che quasi nulla è stata pubblicata...né poteva essere diversamente, in quanto a nessuno ho fornito alcuna documentazione dei fatti, che ci riguardavano da vicino. (Chiosi p. 3)
Sulle ragioni del suo silenzio in merito non si esprime, ma a confronto con quello che è accaduto altrove, qui c’è un vuoto profondo di informazione. Neanche il prete si era curato di mettere per iscritto quello che era successo - forse perché faceva parte della commissione dei cinque di Chiosi che aveva preso in carico l’amministrazione del paese prima dell’arrivo degli Alleati. Un libro pubblicato dal Comune nel 2003, Loro Ciuffenna e i suoi dintorni, sembra finalmente dare una corretta visione dei fatti. Riporta che
di ciò sono testimonianza tante lapidi e monumenti...71 civili trucidati, interi borghi come Rocca Ricciarda bruciati, il 30 per cento delle abitazioni distrutte, sperimentò direttamente la ferocia nazi- fascista pagando ad altissimo prezzo la generosa ospitalità offerta nel Pratomagno alla Brigata ‘Mameli’. (Loro Ciuffenna e i suoi dintorni p. 37)
Oltre a menzionare tutti i morti, sembra esserci una ammissione del fatto che le rappresaglie erano state la risposta alle azioni partigiane, benché vale la pena di notare che se il diktat tedesco dei dieci italiani per ogni tedesco fosse stato applicato nel Comune di Loro Ciuffenna il numero dei morti sarebbe stato il più alto di qualsiasi altro comune della Provincia di Arezzo. riporta in modo abbastanza dettagliato il massacro a San Polo eppure non parla affatto di quello che accadde a San Giustino, anche se si prende la briga di registrare in che modo i partigiani arrestarono un fascista e sua figlia in quella zona.